28 (Parte seconda)

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«Il mio vero nome è padre Abad», rivelò spostando l'attenzione su Gleb, forse per catturarne le reazioni.

Lo schiavo si coprì la testa e riprese a fissare le fiamme. «Padre... Abad?», ripeté Shree.

«Esatto. Sono, o meglio ero, un sacerdote di Nergal».

«Qualcosa mi suggerisce che non darai più il tuo prezioso latte al mio amico eretico, allora».

«C'è stato un tempo in cui avrei fatto molto di peggio, al tuo amico. Ma non sono più un sacerdote».

«Ah sì? Eppure ero convinta che, una volta ordinati, i sacerdoti di Nergal lo restassero per tutta la vita».

«Non è così, non del tutto, almeno. Si può abbandonare la santa missione che Nergal ci affida, rinunciando però al suo regno celeste nell'aldilà».

Shree alzò gli occhi al cielo, un gesto che al vecchio non dovette sfuggire.

«Capisco la tua diffidenza e non mi aspetto che tu condivida e comprenda le nostre usanze».

«Infatti non le comprendo, né tantomeno le condivido. Ma sono lo stesso curiosa di sapere perché hai deciso di lasciare i tuoi voti». «Domanda legittima. Vorrei darti una risposta precisa, ma la verità è che a distanza di tanti anni ancora non lo so. Non mi trovavo più d'accordo con gli ordini che ricevevo, non condividevo più la visione che avevano i miei superiori. E vedere giorno dopo giorno centinaia di vite stroncate dalla Morte nera mi ha fatto dubitare». Il vecchio si prese una pausa dal racconto. «Mi domandavo dov'era Nergal e perché permetteva a tutta quella brava gente di morire. Questo ha fatto vacillare la mia fede. Come può un uomo che diffida della propria fede, convincere altri a credere? È stato questo a spingermi quassù. Non volevo più restare in mezzo a gente che moriva, senza poter fare niente, col dubbio che il mio dio fosse insensibile a quello che stava accadendo».

«Ma la vostra chiesa ha la cura...».

«In parte è così. Ma la cura è riservata solo a pochi. La gente moriva in continuazione e io mi sentivo sempre più inutile. Così ho deciso di ritirarmi quassù e attendere da solo la mia fine. Se non puoi essere utile, allora devi cercare quantomeno di non essere d'intralcio. E io, con i miei dubbi e le mie perplessità, stavo ostacolando l'attività dei miei fratelli. Così ho raccolto le mie poche cose e mi sono trasferito qui».

Shree non seppe trovare alcun commento adeguato. Non si sentiva partecipe delle disgrazie dell'uomo, più di quanto fosse coinvolta dai suoi dubbi.

Abad annuì al suo silenzio. Poi allungò una mano e prese il latte che aveva cominciato a bollire. Ne versò una quantità generosa in una ciotola e la porse a Gleb.

*

La vampata calda che gli investì il volto e le narici lo destò. Afferrò la coppa come un'offerta religiosa e sentì il legno tiepido fra le dita. «Gra... grazie», balbettò e bevve una prima sorsata.

Il latte bollente gli scese nella gola denso e cremoso. Era la cosa più buona che avesse mai assaggiato, forse perché gli parlava di una gioia perduta, di risate defunte e del calore di un raggio di sole. Chiuse le mani intorno alla ciotola e bevve a piccoli sorsi, affondando la testa nella coppa. Aveva già sentito quell'odore, ma in un tempo troppo remoto perché lo ricordasse. Forse quando era stato bambino, moltissimi anni prima.

Abad restò a guardarlo, non potendo fare a meno di trattenere un sorriso comprensivo.

«E di che cosa ti occupavi per la Chiesa di Nergal?», Shree infranse quel momento con un tono quasi seccato.

«In realtà i miei compiti erano molteplici, ma per lo più ero addetto alle trascrizioni».

«Ovvero?».

«Vivevo a Valissa, che è il centro più importante per quel che riguarda vecchi documenti e antichi manoscritti. Sono sempre stato portato per le lingue perdute, quelle degli antichi imperi, e il mio incarico principale era gestire le sale degli scrivani».

«Non sono molto pratica del Palazzo della Fratellanza. Cos'è una sala degli scrivani?».

Abad sorrise. «È una grande stanza piena di sacerdoti che passano il tempo a ricopiare antichi manoscritti, oppure a decifrarli in modo che possano essere compresi da tutti».

«Un lavoro davvero entusiasmante», ironizzò la ladra. «E tu avevi l'incarico di controllare cosa? Che qualcuno preso dall'euforia di un lavoro così interessante non si desse troppo alla pazza gioia?». Il vecchio rise. Era evidente che passare anni isolato in una grotta non aveva intaccato la sua vena ironica.

«Il rischio c'era, in effetti», rispose facendo l'occhiolino a Gleb. «Ma il mio compito era controllare che nessuno facesse errori di trascrizione. Come ti ho detto, sono... anzi ero, un esperto di lingue perdute, e non di rado i monaci più giovani venivano da me per farsi aiutare nei passi più difficili».

«Quindi tu sei in grado di decifrare le lingue morte?».

Shree non gli diede tempo di rispondere che già si era voltata e aveva affondato le mani nello zaino. Frugò pochi istanti e infine lasciò riemergere un fagotto.

«Mi devi aiutare con questo!». 

«Che cos'è?».

«Io... ecco la verità è che non lo so. Per questo voglio che me lo dica tu. Dovrebbe valere una fortuna».

Abad gli concesse solo un'altra occhiata incerta. Poi allungò le dita. Afferrò la reliquia e aprì il tessuto che l'avvolgeva. Il volto gli sbiancò a tal punto, da far pensare che stesse per avere un colpo.

«Tttu... tu non puoi averlo», balbettò. «Come... come hai fatto? Questo... no, non è possibile! Chi sei tu? E chi è quest'eretico che porti con te?».

«Sta' calmo».

«No! Chi siete voi due? E come fate ad averlo?».

Shree inspirò. Quindi cominciò a raccontare la loro storia.

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