21 (Parte seconda)

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Shree  gettò un'occhiata veloce a Gleb. Poi tornò a fissare il tipo. «È solo un po' strano. Voi piuttosto, chi siete?».

La donna sospirò e si mise a sedere su una sedia così ammuffita che non sembrava potesse sopportarne il peso.

Uno dei due uomini parlò: «Siamo derelitti. Gli ultimi tre abitanti di questo villaggio. Il resto della popolazione è morta. Noi ci siamo salvati perché non eravamo qui, quando la Morte nera è arrivata; questa donna è mia moglie e quello è mio fratello. Siamo... eravamo commercianti. Siamo stati via quasi un anno. Al nostro ritorno abbiamo trovato un villaggio deserto, abitato solo da cadaveri in decomposizione».

«E perché non ve ne siete andati?».

«Mi prendi in giro? Qui almeno abbiamo la nostra casa e le nostre cose, possiamo attendere la fine in pace, senza doverci guardare da tutto e da tutti».

Shree annuì. Quella era solo una delle centinaia di misere storie che aveva udito fin da quando era nata. Rinfoderò la spada e gettò un'occhiata all'esterno. La nebbia era arrivata a lambire l'ingresso della casa.

«E la tua storia, ragazza?».

Lei indicò col mento una sedia vuota. «Posso?».

L'uomo acconsentì con un cenno cortese della mano. Shree si sedette, mentre alle sue spalle Gleb la seguì fermandosi subito dietro di lei, il più vicino possibile all'uscita.

«Siediti, questa gente ci sta offrendo ospitalità», gli disse.

Lo schiavo annuì e obbedì, ma la sua espressione non risultò affatto convinta.

Shree si strinse nelle spalle a chiedere scusa per il suo strano compagno di viaggio. «Siamo viaggiatori, non c'è molto altro da dire. Abbiamo lasciato Valissa e siamo diretti a Palash», disse.

«Non resta molto del glorioso passato della capitale, straniera. La chiesa continua il suo lavoro, ma credo stia combattendo una battaglia impossibile da vincere. La gente muore anche là, così come in ogni altro angolo del mondo. Tornate indietro, se ne avete la possibilità. O cercate un'altra destinazione».

«Lo terremo presente», mentì lei.

L'altro mostrò un mezzo sorriso d'approvazione. «Ottimo. Nel frattempo vi posso offrire un tetto sulla testa per questa notte. Non è un granché, ma sempre meglio che dormire all'addiaccio, no?».

«È un gesto gentile. Accettiamo volentieri». «Avete delle provviste con voi?».

«Quasi niente».

«Non c'è problema. Mia moglie cucina una zuppa di funghi fenomenale. Se vi va, potete condividere la cena con noi. Non è molto, ma è in questi tempi che si deve essere generosi, no?».

Di nuovo Shree annuì. E un sorriso le arricciò gli angoli della bocca. «È quello che dico sempre anch'io, non è vero Gleb?». «Iiio... io non so, in realtà... ccci... ci conosc...».

«Gli manca qualche rotella, avevi ragione», tagliò corto lei. L'altro si limitò a mostrare un sorriso di circostanza. Poi si voltò verso la moglie. «Mettiti al lavoro, cara. Abbiamo ospiti per cena».

*

La zuppa era squisita. La donna, che si chiamava Mirra, aveva armeggiato per più di mezzora su di un pentolone, mentre Joseph, il marito, chiacchierava del più e del meno con Shree. Solo Johann, l'altro uomo, era rimasto in silenzio, limitandosi a qualche monosillabo.

«Allora, non è squisita?», chiese più tardi Joseph.

La ladra annuì mandando giù un'altra cucchiaiata. «Un pasto caldo è una benedizione di questi tempi», commentò inspirando il profumo di terra e muschio che saliva dalla ciotola.

Poi fece per aggiungere qualcosa, ma la sua testa si schiantò sul piatto rovesciandone il contenuto. Aveva perso i sensi. Mostrando un sorriso inquietante, i tre villici si pulirono la bocca e si alzarono all'unisono.

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