35 (Parte Prima)

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Rientrò nelle sue stanze e si tolse il copricapo che aveva indossato per buona parte della giornata. Quasi lo lanciò sulla consolle elaborata e restò a guardarlo. Lo odiava, ma non poteva separarsene per via di ciò che rappresentava. Sbuffò e si allontanò. Poteva anche essere considerato un riformatore dai dotti padri della chiesa, ma esistevano lo stesso tradizioni che non potevano essere cambiate, neppure dal sommo Padre in persona.

Libero dal peso della sua tiara, si concesse però un sospiro di soddisfazione. Si voltò e raggiunse il letto, dove il materasso gonfio di piume accolse i suoi muscoli provati. Qualche servitore si era preoccupato di fargli trovare il camino acceso e la stanza ben riscaldata. Degenhard gliene fu grato.

Si chinò e solo a fatica si tolse le babbucce, che poggiò con cura accanto al letto. I piedi infreddoliti accolsero male la variazione termica, ma quasi subito il calore della stanza fece il suo dovere. Le coperte foderate e i cuscini colmi di piume lo attiravano con la loro promessa di ristoro. Resistette, perché aveva ancora due o tre faccende urgenti da sbrigare.

Tornò ad alzarsi e cominciò a spogliarsi dei paramenti che il suo ruolo di capo unico e indiscusso della Chiesa di Nergal gli imponeva. Dapprima si tolse la fascia che gli scendeva lungo il petto; poi si sfilò il simbolo sacro di Nergal. Nel poggiarlo sulla consolle accanto alla tiara, lo vide brillare alle fiamme guizzanti del fuoco. Tra i suoi tanti gioielli quello era senza dubbio il più prezioso, non tanto perché era d'oro massiccio, quanto perché aveva un valore sentimentale incalcolabile; gli era stato donato dal suo predecessore, come voleva la tradizione.

Ogni sommo Padre, sul letto di morte, consegnava quel simbolo a colui che riteneva il più adatto a prenderne il posto. E nel farlo gli rivelava la formula segreta del passaggio di consegne. All'epoca, Degenhard non si era affatto sentito sicuro della decisione. Ma il tempo aveva dimostrato che, scegliendo lui, il sommo Padre Jahr aveva preso la decisione giusta.

Libero dal metallo, cominciò a spogliarsi. Dapprima la tunica, i cui ricami dorati mandavano bagliori a ogni movimento; poi toccò alla sottoveste e infine a maglia e calzoni. Tutti bianchi, anche in quel caso c'era un dazio da pagare alla tradizione.

Completò l'operazione togliendosi gli anelli d'oro che portava a ogni dito. Infine entrò nella stanza da bagno, notando con soddisfazione che i suoi desideri erano stati eseguiti. Accolto da volute di vapore, si ritrovò in un ambiente più caldo perfino del precedente. Diversi bracieri ardevano agli angoli della stanza e una vasca colma d'acqua era stata collocata sopra una fossa scavata nel pavimento, dentro la quale era acceso un grosso fuoco.

Bagnò una mano. La temperatura era ottimale per i suoi gusti, non bollente, ma quasi. Si infilò nella vasca e il contatto con l'acqua caldissima gli sciolse la tensione dai muscoli. Si immerse fino al collo, lasciando fuori solo la testa e restò in quella posizione per un tempo che parve infinito.

"Meno male che, bontà di Nergal, almeno oggi non pioveva...".

Gli occhi chiusi, il vapore che gli avvolgeva un viso non più giovanissimo, Degenhard si gustò il suo bagno quotidiano. Non poteva farne a meno, ormai. I suoi mille impegni lo costringevano a stare a contatto costante con gente sporca, che viveva nell'indigenza e che aveva la pessima abitudine di inginocchiarsi e toccargli le vesti, quando non osava addirittura afferrargli le mani. Lavarsi era una necessità imprescindibile.

Sentendo il fuoco sotto di sé perdere d'intensità, allungò una mano ad afferrare una campanella. L'agitò facendola trillare. Fu rapido a riaffondare la mano nell'acqua bollente.

Per lunghi secondi non accadde nulla. Poi una porticina laterale si aprì ed entrò un uomo, ingobbito sotto il peso di troppi anni o forse delle troppe fatiche. Indossava una lunga veste, proprio come pulito era il suo viso sbarbato di fresco. Degenhard non sopportava che i suoi servitori andassero in giro come gli indigenti che affollavano ogni angolo di Palash e imponeva loro abluzioni quotidiane e volti ben rasati. E non voleva sentire lamentele sulla difficoltà crescente di trovare acqua pulita.

L'uomo restò immobile a fissarsi i piedi.

«Riattizza il fuoco sotto la vasca, l'acqua si sta raffreddando. Poi portami la cena, sto morendo di fame. E infine chiama padre Dano, ho bisogno di parlargli».

L'altro annuì e scomparve. Pochi minuti dopo tornò reggendo nuovi ciocchi di legno. Li mise sul fuoco uno dopo l'altro, facendo attenzione a non sollevare lo sguardo sulla figura sacra, ancora immersa nella vasca. Infine, senza dire una parola, svanì richiudendosi la porta alle spalle.

Rimasto di nuovo solo, il sommo Padre afferrò una spugna e un pezzo di sapone e cominciò a detergersi la sporcizia. Aveva ormai finito, quando la porta tornò ad aprirsi. Entrarono due uomini, il primo reggeva un vassoio coperto; l'altro una brocca e un calice. Non dissero nulla, ma si spostarono nella stanza adiacente poggiando tutto sulla scrivania di tek.

Degenhard attendeva nell'acqua che uno dei due servitori gli portasse la veste.

Si alzò, uscendo dalla vasca. Aveva da poco superato i cinquant'anni, ma a dispetto di un'età in cui la maggior parte della popolazione era morta da tempo, lui manteneva ancora un fisico giovanile. Gli unici veri segni dello scorrere del tempo erano alcune piccole macchioline grigiastre sul petto e sulla schiena che nessun trattamento, nemmeno il più costoso, era riuscito a cancellare.

Avvolgendosi nella veste di seta, un brivido gli risalì dalle natiche fino alla base del collo. I capelli sulla nuca gli si rizzarono, ma lui accolse quella spiacevole sensazione come uno dei tanti supplizi con cui Nergal metteva alla prova la sua fede. Infilò un paio di pantofole e si diresse nell'altra stanza. Quindi si sedette alla scrivania e, con un cenno della mano, congedò i due servitori.

«Ricordati di chiamare padre Dano», disse a uno dei due, mentre era già sulla porta. Poi sollevò il coperchio e inspirò l'aroma della sua cena. Storse la bocca nel rendersi conto che anche quella sera gli avevano preparato pollo arrosto, patate, un po' di verdura. Se non altro ,il vino era di qualità eccelsa. Degenhard non tollerava sciacquature di piatti alla sua tavola. Aveva fatto allestire dei vigneti nei terreni della chiesa subito fuori Palash e vi aveva messo a guardia uno squadrone di chierici. Gli costava una fortuna, ma nulla era abbastanza per le sue viti. Mandò giù un sorso e, afferrando le posate d'argento, cominciò a tagliare la carne.

Quasi nello stesso istante, qualcuno bussò alla porta principale. Degenhard si pulì con cura le labbra, si passò la lingua sui denti per rimuovere eventuali residui di cibo, quindi si schiarì la voce. «Avanti!».

La porta si aprì. E poco oltre la soglia comparve la sagoma tarchiata di padre Dano. L'uomo fece un breve inchino, avanzò e poco dopo si profuse in un secondo inchino.

«Volevi vedermi?».

L'altro stava tagliando una striscia di carne. «Sì», rispose senza alzare gli occhi dal piatto. «Novità?».

«Parecchie».

Fu per lo più il tono titubante del suo braccio destro a convincerlo che qualcosa non andava. Degenhard si esibì in una delle sue tipiche espressioni, sollevò un sopracciglio acuendo le rughe sulla fronte e restò ad attendere il seguito del racconto, le mani ancora salde sulle posate, la carne che si freddava nel piatto.

«Ci sono novità da Valissa, grosse novità. Nessuna che ti farà piacere».

Sbuffò. Odiava le brutte notizie. E odiava riceverle mentre mangiava, perché avevano la pessima abitudine di fargli passare l'appetito. Poggiò forchetta e coltello ai lati del vassoio, si pulì di nuovo la bocca indugiando sugli angoli, quindi ricoprì la cena appena spizzicata. Qualche servo avrebbe festeggiato, quella sera.

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