11 (parte prima)

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Nella luce mattutina il suo corpo appariva livido.

Il chirurgo – ma lui l'aveva definito "macellaio" – aveva ricomposto alla meno peggio la frattura e gli aveva messo dei punti alla nuca. Il naso però non sarebbe più tornato dritto e i capelli non sarebbero più ricresciuti all'altezza della cicatrice. Poco male. Afferrò i calzoni e li guardò. Era grato per quell'ultimo regalo, anche se non si trattava di un indumento prezioso. La lana era stata a malapena conciata ed era certo che, una volta indosso, avrebbe pizzicato sulla carne e strappato via molti peli. Ma si trattava comunque di pantaloni nuovi e puliti. Li indossò e poi infilò la tunica che gli grattò la pelle all'altezza dei capezzoli. Fece per prendere la giubba di cuoio, quando una figura comparve nel suo campo visivo.

«Hai davvero un aspetto orribile...».

Vikas, la testa già china per il senso di colpa, si limitò ad annuire. Non si era guardato e anche volendo non avrebbe potuto. Gli ultimi specchi erano stati raccolti e portati al Palazzo della Fratellanza. La chiesa li aveva dichiarati uno strumento eretico, perché glorificavano la bellezza esteriore e la vanità dell'uomo. Vikas tuttavia sospettava che fossero stati tolti di mezzo per evitare che la gente vedesse il modo in cui li riduceva la pestilenza, sebbene preferisse tenere quella considerazione per sé. Così come ne teneva anche un'altra per sé: la convinzione che la chiesa combattesse ormai le sue battaglie contro nemici invisibili. Nessuno, infatti, si preoccupava più del proprio aspetto fisico. Con o senza specchi.

«Grazie per i vestiti. Sono caldi e puliti, mi saranno utili una volta lontano da Valissa». La sua voce suonò stentorea. Si sentiva quasi in difetto a parlare.

L'altro avanzò e si portò nel grigio cono di luce che penetrava dalla finestra. Fuori era giorno, ma sarebbe stato difficile distinguerlo dalla notte appena passata.

«Sai bene che non lasciamo mai i nostri compagni in difficoltà. Nonostante il tuo fallimento, non sarei stato in pace con me stesso a saperti là fuori vestito solo di stracci logori e puzzolenti».

«Graz...».

«Ma sei un uomo fortunato, Vikas», lo interruppe senza alcuna grazia.

«So di essere fortunato. Lo sono stato a incontrare padr... beh, tutti voi. E questo non fa altro che aumentare la mia amarezza per come vi ho delusi».

«Ma io non parlo di questa fortuna».

Vikas alzò lo sguardo sul suo interlocutore per la prima volta. Qualcosa nel suo tono lo incuriosì. Non poté nascondere a se stesso, tuttavia, che insieme con la curiosità si era fatto strada anche un sottile timore.

«Se sei ancora dell'idea di rimediare al tuo errore, ora ne hai la possibilità».

Alzò gli occhi e lo guardò a lungo, in silenzio. Poi sussurrò: «Se esiste un modo, anche uno solo per rimediare, devi dirmelo». Nella penombra della stanza, un sorriso dai denti bianchissimi sembrò quasi brillare di luce propria. «Forse sono stato troppo frettoloso nel giudicarti e nell'accusarti per quanto accaduto. Pare che nemmeno quel cavaliere sia riuscito a recuperare la refurtiva. La persona che ti ha derubato è ancora in giro e ha con sé ciò che vogliamo. Non c'è bisogno che ti dica ciò che devi fare».

Vikas indossò la giubba di cuoio con un solo movimento. Poi allargò le spalle. E un ghigno gli emerse sul viso.

«Ho molti contatti qui a Valissa, quel ladro ha le ore contate. Entro stasera ti riporterò quello che ha rubato».

PestilentiaWhere stories live. Discover now