26.

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A svegliarla il mattino seguente fu un dolore lancinante alla mano. Intuì di essersi tagliata ancor prima di aprire gli occhi per realizzare cosa fosse successo e dove si trovasse. L'odore di ferro dovuto al sangue fresco raggiunse immediatamente le sue narici. Aveva appoggiato il palmo della mano su alcuni vetri rotti sul parquet. Urlò per il dolore.

"MICHI?!"

Connor. Quella era la voce del suo migliore amico. Guardò la sua mano e oltre al sangue vivo che ormai scorreva copioso cadendo sul pavimento, notò che una scheggia di vetro di medie dimensioni era rimasta incastrata nella ferità.

Il sangue e le ferite non le avevano mai fatto impressione. A farla lamentare, quasi urlare di nuovo, era il dolore acuto che sentiva alla mano che teneva aperta e distesa davanti a sé, senza riuscire a compiere alcun movimento.

"Michi cos'è successo? Apri questa porta!"

Di nuovo la voce di Connor, così ansiosa e preoccupata. Si ricordò soltanto in quel momento, guardando la maniglia abbassarsi senza risultato, di aver chiuso la porta a chiave la sera prima, o forse durante la notte. Aveva perso la nozione del tempo.

Si guardò attorno. Tutte le ante dell'armadio erano aperte e i vestiti riversati a terra, così come il contenuto del baule. E poi c'erano tutti quei vetri sparsi sul parquet, insieme a cornici e foto vecchie, sorrisi passati, momenti felici rimasti bloccati nel tempo e mai più rivissuti.

Un'ulteriore fitta alla ferita. Ricordò all'istante tutti gli avvenimenti delle ultime trentasei ore. Scoppiò in singhiozzi lamentandosi per il dolore, ancora.

"O apri questa cazzo di porta o la sfondo, ora!"

Conosceva Connor, l'avrebbe fatto sul serio. Con la mano sana tenne stretto il polso di quella ferita e, facendo forza sulle gambe, cercò di alzarsi. Non ricordava di aver messo nulla sotto i denti durante la giornata precedente. A stento riuscì a reggersi in piedi e ancora piangendo, mentre la testa le girava vorticosamente, si avvicinò alla porta. Aprì.

"Santo cielo, Michelle, che hai combinato?"

Non rispose. Da una parte non voleva affrontare nessun discorso circa ciò che era successo e stava succedendo, aveva parlato anche troppo, e dall'altra non ne avrebbe avuto le forze. Si abbandonò tra le braccia di Connor, prestando attenzione a tenere la mano sanguinante lontana dagli indumenti del suo migliore amico, e poi ricomincio a piangere e a lamentarsi.

"Fammi vedere questa mano.."

"No.."

"Michi, basta essere testarda. Fammi vedere la mano."

La testa continuava a girarle e l'odore del sangue ora era così forte, così nauseabondo. Si staccò da Connor sperando di riuscire a controllare quella nausea. Poi porse la mano al suo migliore amico. Le lacrime continuavano a scendere copiose sul suo viso, così come il dolore non cessava di essere così acuto, così forte.

"C'è ancora il vetro dentro.."

"Puoi toglierlo?"

"Andiamo giù, mi serve una pinzetta. Poi disinfettiamo la ferita e la fasciamo."

"Okay, ma non andiamo giù."

"Michelle.."

"Non voglio vedere Laurel, Connor. Non ancora."

Connor sembrò sul punto di replicare, ma poi non le fece e, anzi, annuì. Gli spiegò dove trovare una pinzetta e un istante dopo il suo migliore amico si stava già precipitando giù per le scale. Si voltò e camminò verso la stanza in cui aveva passato la notte. Si era addormentata ai piedi del letto, con le spalle appoggiate a quest'ultimo. Il cellulare era ancora a terra. Si avvicinò quanto bastava per raccoglierlo e poi, voltate le spalle alla stanza, ne uscì nuovamente richiudendo la porta con la mano sana.

Ricorderai l'amore (#2) - Marco Mengoni Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora