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Viterbo. Ronciglione. Casa. Avrebbe dormito lì quella notte, come da tradizione prima di ogni concerto a Roma. Immaginava che sua madre avrebbe organizzato qualcosa per cena, anche una semplice riunione dei parenti più stretti, e non si sbagliava. Quando arrivò davanti al cancelletto della sua abitazione, nel tardo pomeriggio, scorse da lontano il tavolo apparecchiato sotto al portico almeno per dieci persone e non gli ci volle molto tempo per riconoscere sua nonna, seduta sul dondolo, intenta ad apprezzare quella leggera brezza serale di quei primi giorni di maggio.

Non aveva smesso di pensarci nemmeno per un attimo. Aveva trascorso quasi tutta la giornata a Roma, prima di partire per Viterbo, e nonostante avessero lavorato per la data della sera dopo, la sua testa era fissa al pensiero di Michelle e di quell'incontro tanto atteso che, forse, poteva finalmente diventare realtà. Chissà quanto avrebbe impiegato Connor a chiederle di andare a Verona. Chissà se lei avrebbe accettato o se sarebbe tutto scemato in una nuvola di fumo. Quell'attesa l'avrebbe sfinito, lo sapeva, ed era appena iniziata.

Quella sera con lui sarebbero rimaste solamente Claudia e Marta di tutta l'allegra combriccola. Gli altri erano riusciti a trovare alloggio a Roma, chi a casa propria, chi in albergo. E, sinceramente, si sentiva davvero sollevato e felice di poter passare una serata solamente con la sua famiglia. Non che la compagnia di chi lavorava con lui non gli piacesse, anzi, ma a volte sentiva davvero il bisogno di tornare all'inizio, all'origine.

Ne avrebbe parlato con sua mamma? Claudia? Marta? Quando quella mattina aveva ricevuto la telefonata di Connor si era sentito elettrizzato, anche spaventato, ma soprattutto euforico, ma se all'inizio aveva provato il folte impulso di raccontare tutto a tutti, partendo proprio da Peter e Nico, poco dopo era tornato taciturno e pensieroso. La verità era che si sentiva timoroso, temeva che parlandone, raccontando di quell'occasione ad alta voce, tutto sarebbe svanito, come se in realtà Michelle non si trovasse nella sua stessa nazione e fosse tutto uno sciocco scherzo della sua mente.

Rolly fu il primo ad accoglierlo, riempiendolo di feste, non appena ebbe aperto il cancelletto. Sua madre e suo padre lo aspettavano sulla porta d'ingresso e la nonna era ancora beata sul dondolo, ma lo aveva visto e gli stava rivolgendo uno dei suoi più solari sorrisi. Era a casa.

Se c'era un ambiente che gli mancava particolarmente quando si trovava a Milano quello era sicuramente la sua stanza a Ronciglione. Non era cambiata affatto negli anni, a parte per il fatto che durante il suo periodo ad X-Factor i suoi genitori avevano tappezzato le pareti con i regali da parte delle persone che lo avevano sostenuto. Non era grande, ma non era nemmeno piccola. Era la sua tana, per molto tempo era stato il suo posto nel mondo, e nonostante fossero cambiate molte cose da quel periodo i ricordi e le sensazioni, sia positivi che negativi, erano importanti e a volte era capace di riportarli alla luce solamente sdraiandosi su quel letto e fissando ad occhi spalancati proprio quel soffitto.

La cena non era ancora pronta quando ritornò giù al piano terra e i parenti che mancavano non erano ancora arrivati. Sua madre, intenta ai fornelli, gli lasciò un leggero bacio sulla guancia, l'ennesimo nonostante fosse là da poco più di mezz'ora, e poi gli consigliò di andare in giardino dalla nonna, diceva che non vedeva l'ora di parlare con lui.

"Nonna!"

"Marco! Tesoro bello!"

Non si sarebbe mai sentito abbastanza grande da chiedere a sua nonna di non chiamarlo più con quei nomignoli affettuosi che da una parte lo imbarazzavano, sì, ma dall'altra lo facevano sentire coccolato e lo riportavano con la mente a quando era bambino e passava intere ore seduto su quelle stesse gambe che ora sua nonna stava utilizzando per muovere il dondolo avanti e indietro.

Ricorderai l'amore (#2) - Marco Mengoni Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora