7.

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Marrok

La birra ghiacciata gli scivolò lungo la gola. Era tornato a casa da meno di un giorno e già si stava sentendo male. Tornare ad Aviemore si rivelava ogni volta più difficile per la sua coscienza. Ogni volta che preparava la piccola valigia, che salutava con un bacio Anice o si lasciava alle spalle la sua casa, il suo cuore pareva stringersi un po' di più su sé stesso.

Era rimasto lontano per un totale di dieci giorni, sette in più del solito, mandando in allarme gran parte del branco. Non aveva risposto ai messaggi e non aveva richiamato nessuno. Si era giustificato con l'Alpha inventandosi un imprevisto che non c'era stato.

La verità era che non voleva tornare, non subito almeno. Non voleva affrontare la realtà, non voleva guardarli in faccia e sentirsi male. Proprio come si sentiva in quel momento, seduto in quell'angolo, durante quel mercoledì sera all'Avilon. Per non parlare del fatto che sentiva ancora la voce di Kelle rimbombargli nella testa. Bevve un altro sorso e fece un segno al barista per farsi portare un'altra pinta. Se avesse ingerito una grande quantità d'alcol, forse sarebbe riuscito a dormire.

Beveva raramente, gli alcolici gli ricordavano suo padre e suo padre gli ricordava tutto ciò che non avrebbe mai voluto essere. Ma quella sera la sua coscienza non lo lasciava in pace e la birra era l'unico modo che conosceva per metterla a tacere.

No, suo padre non era stato un genitore modello. Era un alcolizzato ed un violento. Da ragazzo spesso e volentieri scappava di casa per evitare di essere picchiato e così faceva sua madre.

Sua madre, Hanna, era una donna forte. L'aveva allevato praticamente da sola e da sola molte volte l'aveva difeso dalla furia di quell'uomo. Quando lo ritrovarono a pancia in giù nell'acqua, in una rientranza del fiume, nessuno fece domande e lui neppure, neanche quando sua madre lo strinse a sé ringraziando il cielo. Neanche quando trovò una boccetta mezza vuota di polvere d'argento nei cassetti di sua madre.

Lasciò che i ricordi lo inondassero e si concentrò sul sollievo che aveva provato il mattino seguente quando aveva finalmente capito che non sarebbe più tornato. Hanna gli aveva preparato una colazione americana, come quelle che si vedono nei film, con pancakes, uova e pancetta, gli aveva accarezzato i capelli dolcemente e gli aveva versato del succo d'arancia. Ricordava il suo sorriso appena accennato, come se avesse avuto paura che fosse solo un bel sogno. Aveva solo tredici anni all'epoca.

Una madre fa quel che c'è da fare. Anche l'impossibile se serve.

Shireen le assomigliava molto e forse proprio per questo cercava di starle lontano. Se pensava che Reen assomigliasse ad Hanna, lui era sicuro di aver ereditato i geni di suo padre. Se non fosse stato così, era sicuro, non si sarebbe trovato un mercoledì sera a cercare di ubriacarsi.

Finì la seconda pinta e iniziò la terza. Era sempre inutile, per quanto potesse bere, non riusciva mai ad ubriacarsi prima di aver ingerito più di quello che un normale essere umano avrebbe potuto sopportare. Il pub era praticamente vuoto e la musica nemmeno troppo alta. Il vecchio gruppo di Dearan stava facendo una partita a biliardo e si domandò se tutta quella storia avesse avuto su di loro lo stesso effetto che aveva avuto su Kelle.

Era cambiata molto o per meglio dire, era tornata quella di un tempo. Una versione più giovane e piccola della donna gli si formò davanti e non poté non sorridere al ricordo del loro primo incontro.

Kelle era stata la terza persona che Søren aveva fatto entrare oltre la sua barriera. Un po' come lui, anche lei non gli aveva dato via di fuga e le sue mura avevano ceduto, soprattutto dopo che l'aveva atterrato con un pugno dritto sul naso durante una lezione di ginnastica. A pensarsi i gli veniva ancora da ridere.

HuldraDonde viven las historias. Descúbrelo ahora