CAPITOLO XXXIX

13.3K 789 681
                                    

"Mi rendo conto di quanto la felicità e la tristezza siano vicine. Così strettamente legate. Una linea sottile, un confine seganto da una linea tremolante tirata nel mezzo delle emozioni che confonde i territori degli esatti opposti. Il movimento è minimo, come quello del debile filamento di una ragnatela che vacilla sotto il peso di una goccia di pioggia."
(Cecilia Ahern)

Il cielo era luminoso. L'oscurità e la paura, avevano ora fatto posto ai loro opposti, in un'atmosfera di tacita allegria. Il dolore per le vittime era alleviato dalla consapevolezza di un nuovo inizio e dall'amore dei vivi per i vivi. Il tutto, alla fine, come nella più bella della favole, sembrava tornato perfetto.

Strani esserini di cui solo Luna conosceva il nome svolazzavano per il cielo azzurro, volto all'alba del nuovo giorno; Hogwarts, al contrario della seconda guerra magica, aveva riportato il minimo dei danni e sembrava essere più imponente e bella che mai.

Perché, molto spesso, quando si esce dalle difficoltà si è più luminosi, si hanno la bellezza dell'esperienza e la forza di chi ce l'ha fatta.
E Hogwarts, ancora una volta, ce l'aveva fatta.

Tutti gli studenti erano riuniti fuori l'ingresso principale, a fare il resoconto della situazione.

Sei morti.

Sei coraggiosi guerrieri, leali ai loro ideali, ambiziosi nel credere di potercela fare, intelligenti nel combattere. Sei studenti che, per le pazzie di un pazzo, hanno dovuto rinunciare al dono più grande che ci è stato fatto. Perché è proprio questo che è la vita, un dono. Un dono che si riceve e che, in seguito, si ridona. C'è chi dedica la propria vita ad un'altra persona, chi ad un obiettivo, chi a niente e nessuno. Ma ogni vita è un dono a scadenza che non possiamo rifiutare e che, prima o poi, ridoniami a qualcuno o qualcosa; e, se non l'abbiamo donata a nessuno, arriva a prendersela la morte. Blaise e gli altri avevano donato la loro vita ad una giusta causa. E, in particolare, Zabini e l'altro serpeverde deceduti, Nott, avevano dimostrato che c'è sempre tempo per rimediare ai propri errori, per stare dalla parte giusta.

Hermione era rannicchiata su se stessa sul secondo degli scalini conducenti al grande ingresso, immobile.
Una volta Draco le aveva detto che piangere aiuta, perché ci svuota: nel bene e nel male. Tuttavia, lei non piangeva. È triste accorgersi di non avere più lacrime, vorresti piangere, sfogarti, ma non ci riesci; non ci riesci perché altro dolore, come una ventata gelida di vento, ha ghiacciato le lacrime che avevi già pianto. E ti senti come se tutte quelle lacrime avessero dato vita alla più dura delle corazze. Una gabbia di forza apparente, che nasconde un'anima terribilmente fragile. Ed allora, non potendo fare altrimenti, si piange dentro. Immobili, stutue di ghiaccio secco a zero gradi, dentro le quali l'acqua sciolta brucia, intrappolata da se stessa.

Era così che si sentiva Hermione. Il dolore era così forte da paralizzarla e, forse, avrebbe anche potuto ucciderla. Ma la cosa peggiore era che non riusciva a tirarlo fuori, o forse non voleva, lo teneva dentro di sé.

Lui sarebbe morto.

Non era giusto. Lui non meritava tutto questo, Draco meritava di meglio che un padre così, che una vita così.

E lei, lei lo amava. Avrebbe finalmente potuto dargli ciò di cui aveva bisogno, ma lui no! Quel brutto idiota aveva dovuto sacrificarsi!

Non avevano fatto niente di male, si erano solo innamorati. Ed avevano lottato, oh se avevano lottato. Con tutte le forze che avevano, senza arrendersi mai.

She.Where stories live. Discover now