capitolo 93

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TYLER

- Biglietto, prego. -

L'uomo mi stava fissando con insistenza dall'alto del suo metro e ottanta, mi costrinsi a riscuotermi e afferrai il documento che avevo stampato frettolosamente a casa, poi glielo porsi senza aggiungere nulla. Le nocche spellate laddove avevo sbattuto contro lo specchio del bagno erano sanguinolente e doloranti, gli occhi del controllore caddero subito lì.

- Va tutto bene? - mi chiese con sguardo indagatore dopo aver dato un'occhiata sommaria al biglietto e averlo vidimato.

Annuii, era quello il grande piano. Far sì che le cose potessero andare meglio da quel momento in poi, non solo per me, ma per tutti coloro che mi ero lasciato alle spalle, perché sì ... stavo decisamente andando via. Guardai oltre il finestrino e l'oscurità più totale mi avvolse. Cercai di reprimere le lacrime, i brividi e soprattutto quella terribile ed incessante voce che continuava a ripetermi di tornare indietro immediatamente.

- Ne sei sicuro? Vuoi che ti prenda qualche garza dal kit medico di bordo? - l'uomo era ancora lì davanti a me, mi ritrovai a guardarlo nuovamente, chiedendomi perché tutti fossero così orribilmente gentili con una persona di merda come me.

Io sto bene, il vostro bagno un po' meno, avrei voluto commentare, ricordando quello che era successo qualche ora prima subito dopo la mia salita a bordo. Mi ero chiuso in bagno, sopraffatto da troppe emozioni diverse da dover tenere a bada, avevo finito per sfogare la mia rabbia sullo specchio, l'avevo distrutto a suon di pugni fino a quando non era subentrato il dolore vero che, per gioco del destino, rispecchiava un rimedio lenitivo naturale. Togliere le schegge era stato massacrante, si erano conficcate in profondità nella carne, squarciandola e facendo sgorgare il sangue a fiotti, ma andava bene così. Era il minimo che meritassi quello, avrei immensamente voluto che quella scheggia mi fosse stata conficcata dentro la pelle da Chris stesso.

L'uomo desistette alla fine, mi disse di chiamarlo in caso avessi bisogno di cure, poi era passato oltre lungo il vagone mezzo vuoto. Le luci erano sparse e quasi assenti, l'unica nei dintorni era di un blu rilassante e tenue che mi avrebbe dovuto aiutare a farmi assopire, ovviamente non successe. La prima cosa che feci quando riuscii a mettere di nuovo insieme i miei pensieri fu quella di rimuovere la sim dal mio cellulare, lo feci con enorme fatica, la ferita continuava a bruciare, poi aprii il finestrino e la lasciai cadere giù. Niente possibilità di contatto, niente piccoli spiragli di luce da questa infinita oscurità, mi dissi, facendomi forza.

Era l'unica via percorribile continuavo a ripetermi, l'avevo fatto anche prima, accucciato contro la porta traballante del bagno, con le mani sul volto ed il sapore ferroso del sangue e quello salato delle lacrime che mi bagnava le labbra. Ero rimasto lì per un tempo infinito, certo che quella porta di stagno sarebbe stata capace di trattenermi dal fare un'altra delle mie infinite stronzate. Avrei voluto abbatterla, correre lungo il corridoio e gettarmi oltre la via d'uscita non appena mi si fosse presentata l'opportunità di scendere. Così avevo atteso che quell'opportunità svanisse, che il treno ripartisse alla volta di mete sempre più lontane e remote, dove sarebbe stato sempre più arduo tornare.

Era stato così, peccato che quel bisogno non fosse svanito neanche a distanza di ore.

Chiusi gli occhi, avevo il groppo in gola e la nausea mentre ricordavo ogni cosa. Il suo viso arrabbiato, poi distrutto, quel corpo che giaceva a terra, pesto e terribilmente svuotato di ogni funzione vitale. Ero scappato via, mi ero fiondato sul treno come se quella fosse stata la mia unica possibilità di salvezza, la mia ancora, un vagone che portava direttamente in paradiso dopo un lungo soggiorno all'inferno, perché nel mio immaginario era proprio quello.

The WayrightOnde histórias criam vida. Descubra agora