Ira e Disperazione

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Stavo distesa su una panchina a fissare gli alberi dai colori vivaci e autunnali del giardino davanti a me.
Ero come una bambola in porcellana, dallo sguardo perso nel nulla davanti a sé, i miei occhi grigio asfalto, pesantemente truccati di nero e perfetti, erano lucidi quasi come fossero fatti di vetro e cristallo.
Il vento fresco soffiava leggero spezzando il calore avvolgente del sole autunnale sulla mia pelle.
Improvvisamente sembró quasi che il tempo si bloccasse, il cielo diventasse grigio, il vento smettesse di soffiare, gli uccellini cessassero di cantare e le nuvole di correre in quel cielo limpido come un velo di seta delicata.

Raccolsi tutta la forza che avevo nel corpo solo per riuscire a trovare le energie per alzarmi in piedi senza cadere. Traballai un istante, dopodiché feci un profondo respiro per placare la testa che vorticava come se si trovasse dentro ad una giostra. L'aria autunnale era fresca e frizzante.
Mi sciolsi la coda di cavallo ed i miei capelli neri mi caddero sulla schiena, mi sistemai il vestito sgualcito che Aiden mi aveva donato a Ice Land.
Quel vestito mi faceva sembrare una vera e propria bambola di porcellana, elegante e dai tratti gotici. Quel vestito spettacolare sulle tonalità del nero e del grigio, senza spalline e con una gonna ampia sopra al ginocchio.
Dal corpetto stretto e decorato con dei lacci neri di velluto, delle strisce grigie segnavano le stecche che tenevano il corpetto rigido.
La gonna aveva tre strati voluminosi di tessuto che gonfiavano solo la parte inferiore del vestito, rendendolo dolce e quasi principesco. Altri nastri neri e grigi mi avvolgevano la vita e scendevano morbidi sulla gonna che era leggermente piú lunga dietro e piú corta davanti.
Sulla schiena c'era una piccola scollatura che veniva leggermente chiusa da dei nastri di velluto neri.
Al collo avevo indossato un nastrino nero da cui pendeva una lunga croce argentata.
Mentre le mani invece avevano dei guanti neri fatti con la rete che terminavano all'altezza delle nocche, ad eccezione del dito medio, dove il guanto a rete terminava con un anello argentato su entrambe le mani.
Avevo sulle spalle un mantello lungo e nero con il cappuccio rigido che era fermato al petto con rubino incastonato nell'argento, mi era stato donato da Kish in occasione della cerimonia, da lui organizzata, che si sarebbe tenuta tra qualche ora.
Per completare l'abito avevo indossato i miei stivali neri cinghiati e il mio orecchino sinistro con la lunga croce argentata che indossavo la prima volta che ero arrivata in questo dannato mondo di morte e sangue. La prima volta in cui avevo visto Aiden.

Il mio viso dalla carnagione pallida era rigato da lunghe strisce di trucco colato a causa delle lacrime che erano scivolate fino al mento e alle labbra carnose coperte da uno scuro e lucido strato di rossetto rosso dalle sfumature nere.

Il mondo mi vorticava attorno pericolosamente, sembrava fosse sul punto di crollarmi addosso nuovamente, non potevo accettarlo ancora, non ora che avevo potuto riabbracciarlo, non dopo che mi aveva dato quel bacio.

Il mio sguardo perso era ipnotizzato da un mazzo di rose rosse, bianche e nere avvolte da una rete nera, che mi era stato appoggiato vicino alla panchina su cui giacevo fino a poco prima.
Mi resi conto di fissare quei fiori con disprezzo solo quando mi accorsi di quanto quelle rose dai colori così particolari mi turbassero messi assieme in quel modo.
Chiunque fosse appassionato di botanica o giardinaggio sapeva bene il significato dei vari colori delle rose.
Il bianco dell'amore puro e sacro.
Il rosa dell'affetto.
Il blu del mistero e della saggezza.
Il giallo della gelosia.
Il rosso della passione.
Il nero del lutto.

Potevo sentire il mio cervello pulsare sulle tempie e premerle come se non desiderasse altro che romperle per scappare via da quell'incubo. Mi facevano male i muscoli della mandibola a causa della forza inconsapevole con cui tenevo serrati i denti, quasi come se volessi impedirmi da sola di incominciare a singhiozzare tra le lacrime.
Mi limitavo ad un pianto silenzioso, quel silenzio infatti rifletteva il vuoto che avevo dentro, ero come una scatola di metallo vuota che batte contro una superfice rigida e che incomincia a tremare facendo riecheggiare nell'aria un rumore sordo e metallico. Ero un contenitore vuoto.

VIRTUAL L'Inferno tra Ghiaccio e FiammeDove le storie prendono vita. Scoprilo ora