Capitolo 11

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«Tocca a te, Harry.»

A quelle parole, mi raddrizzai sulla sedia e puntai tutta la mia attenzione sul ragazzo al mio fianco.

Finalmente avrei saputo qualcosa in più su di lui. Non avevo idea di cosa aspettarmi, ma ero più che certa che, qualsiasi storia fosse uscita dalle sue belle labbra a forma di cuore, non avrebbe intaccato l'idea che stavo oramai iniziando a farmi su di lui. Mi avrebbe soltanto aiutato a comprenderlo meglio. E, in quel momento, morivo letteralmente dalla voglia di comprenderlo.

Harry si prese il suo tempo, facendomi diventare sempre più impaziente. Si schiarì la voce, si bagnò le labbra con la lingua, lanciò uno sguardo veloce a tutti i presenti, soffermandosi un po' più a lungo su di me, l'unica ignara di ciò che stesse per raccontare, mi fissò con un'espressione indecifrabile in volto, poi distolse velocemente lo sguardo, abbassando la testa e passandosi una mano tra i capelli. Prese, infine, un respiro profondo e, dopo quella che mi era parsa un'eternità, si decise ad iniziare a parlare.

«Sapete, una volta qualcuno mi ha chiesto se la reputassi una brutta persona» iniziò, facendomi immediatamente aggrottare le sopracciglia. Le sue parole mi richiamarono alla mente la conversazione che avevamo avuto sul dondolo in giardino, in cui gli avevo domandato appunto se mi considerasse una brutta persona per quello che avevo fatto a Madison, ma dubitavo fortemente che si stesse riferendo a me.

«Io ho risposto a quella persona che non doveva preoccuparsene, perchè qui nessuno giudica gli errori che gli altri hanno commesso, visto che abbiamo sbagliato tutti, chi più, chi meno» proseguì lui, ottenendo un consenso generale. Alcuni ragazzi annuirono, altri mormorarono parole come "giusto" o "esatto". Io, invece, rimasi perplessa. Si stava senza dubbio riferendo a quella conversazione tra di noi. Mi ricordavo perfettamente le sue parole ed ero certa di non sbagliarmi. Ma cosa c'entrava in quel momento?

«Io sono sicuramente quello che ha sbagliato più di tutti» concluse, lasciandomi di stucco.

Forse non ero più così sicura di voler conoscere la sua storia, però, d'altra parte, era stato proprio il suo passato, per quanto orribile mi stesse facendo intuire fosse stato, a renderlo la persona che era. Perciò non mi lasciai intimidire dalla sua premessa e rimasi concentrata al massimo su ogni parola da lui pronunciata.

«Quando avevo 13 anni, mio padre morì di cancro. Io, mia madre e mio fratello Riley ne uscimmo completamente devastati, ognuno a modo suo, ma mia madre fu quella che reagì peggio. Per un paio di anni riuscimmo a tirare avanti a stento, ma mia madre stava sempre più male, era depressa e non riusciva ancora ad accettare che mio padre fosse morto. Alla fine, inevitabilmente, si riversò sugli antidepressivi e non fu più la stessa. Era sempre stordita da quei farmaci del cazzo e dormiva quasi tutto il giorno» si interruppe, troppo scosso da ciò che stava raccontando per proseguire. Tante emozioni gli balenarono sul viso: rabbia, amarezza, delusione, ma soprattutto dolore. Potevo leggere nel suo sguardo tutta la sofferenza che stava provando in quel momento, che immaginavo fosse solo la minima parte di quella che doveva aver sentito un bambino a cui era da poco morto il padre e che aveva visto la madre distruggersi lentamente ed inesorabilmente con le proprie mani. Provai una tristezza infinita per quel povero bambino, che adesso era cresciuto, ma che sicuramente non si sarebbe mai liberato dei fantasmi del suo passato.

«Non passò molto tempo prima che mia madre venne licenziata, ovviamente, e noi ci ritrovammo senza niente. Io avevo solo 16 anni, mio fratello 18, andavamo ancora a scuola e non lavoravamo nessuno dei due, quindi, senza lo stipendio di mia madre, ci ritrovammo presto senza soldi. Mia madre era troppo stordita per rendersene conto ed io e Riley non sapevamo che fare. Non ci eravamo mai occupati di quelle cose e, all'improvviso, ci ritrovammo sommersi di debiti che non potevamo pagare.» Strinse le labbra in una smorfia, forse di rabbia, ed iniziò a giocare con i numerosi anelli che ornavano le sue mani. Non era la prima volta che glielo vedevo fare, quindi dedussi che quello fosse diventato un gesto naturale per lui.

Addicted to you [H.S.]Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora