Capitolo 36. Ritorno alla realtà

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Pov Honor

Erano secondi, minuti, ore che aspettavo quel momento. Ci avevano chiamato dicendoci che lui era ancora vivo.
Lui era vivo.
Lui non mi aveva abbandonata.
Lui era ancora lì con me.


Li avevano trovati verso le cinque di pomeriggio, il giorno dopo l'incidente. Fortunatamente il mal tempo non si era prolungato così a lungo e la forestale ha avuto modo di agire in tempo grazie al dispositivo di localizzazione del suv. Ci hanno raccontato che Edmund, per proteggere Amanda, aveva un braccio teso verso il suo torace, nonostante ciò lei sanguinava molto di più rispetto a lui. I loro vestiti erano pieni di sangue e con il freddo che c'era hanno rischiato di morire assiderati.


Josh ed io ci precipitammo all'ospedale. Man mano che ci avvicinavamo sentivo il mio cuore battere forte e non capire più niente. Mi sembrava che il tempo si fosse fermato e che adesso l'unica cosa che riuscivo a vedere era lui. Più ci avvicinavamo, più sentivo qualcosa che mi tratteneva e non mi lasciava pensare, parlare, urlare. Josh mi stava aiutando a camminare, non ci stavo più capendo niente.


-Honor!- mi riprese lui. Mi stava guardando dritto negli occhi. –Devi essere forte! Lui sta bene!- misi la mia mano nella sua e mi lasciai accompagnare dentro.


Non so cosa avrei fatto senza di Josh. Chiese tutte le informazioni possibili ed immaginabili, e alla fine trovammo mio fratello. Prima di entrare guardai Josh negli occhi e lui mi diede un bacio veloce sulla fronte. Era quello di cui avevo bisogno: tranquillità.


Nella stanza trovammo mio padre vicino al letto che occupava Edmund e mia madre seduta dalla parte opposta con le lacrime agli occhi e un fazzoletto nella mano. Andai ad abbracciarla e rivolsi un'occhiata dispiaciuta a mio padre. Gli avevo detto molte cose cattive il giorno prima, ma si sa, la rabbia fa fare cose che non vorresti fare.

Faceva quello a cui non importava niente del figlio, ma alla fine teneva a lui più di ogni altra cosa, come tutti i padri.


-Cosa hanno detto i medici?- chiese Josh cercando il mio sguardo e successivamente quello di mio padre.


-Hanno detto che sta bene, solo una storta alla caviglia e una costola incrinata. La cintura di sicurezza ha premuto troppo sulla gabbia toracica che una costola si è incrinata. Per il resto sta bene.- mio padre non testimoniò alcuna emozione e non vidi uscire lacrime dai suoi occhi. Forse aveva pianto prima, ma non voleva mostrarsi debole di fronte a noi.


Un dottore sulla quarantina entrò riportando dentro una cartella rossa.


-Non preoccupatevi, potete andare. Non appena si sveglia vi chiameremo.- ci disse sistemandosi gli occhiali e uscendo dalla stanza, precedendoci.


-Io vado. Fammi sapere quando si sveglia.- mi disse mio padre, volgendo un ultimo sguardo a suo figlio. Uscì dalla stanza e mia madre insieme a lui. Non l'avevo mai vista piangere né sorridere. Non avevamo mai avuto un buon rapporto, o meglio, non avevamo mai avuto alcun tipo di rapporto. Era mia madre solo sulle carte, per il resto era quasi una sconosciuta.

Mi avvicinai a mio fratello e presi una sua mano. La accarezzai e poi posai un lieve bacio sul palmo.

Josh appoggiò le sue mani sulle mie spalle e iniziò a farmi un leggero massaggio. Unii le nostre mani e continuai a guardare Edmund.


-Io penso che ci manderebbe a quel paese solo per il fatto che ci "coccoliamo" a vicenda, anche in una situazione del genere.- mi sussurrò il mio ragazzo abbassandosi alla mia altezza e mimando quel "coccoliamo" .

Je t'aime ~ IN REVISIONEWo Geschichten leben. Entdecke jetzt