XII.

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Che il tuo profetico cuore non mi presagisca alcun male; il destino potrebbe prender la tua parte e avverare le tue paure.
John Donne

Arrivò alla casa circondariale pochi minuti prima dell'orario da visita. Celeste tremava, non riusciva a star ferma. Passò quei pochi minuti guardandosi intorno. Lo conosceva bene quel posto. Conosceva bene quelle pareti bianche a strisce blu e giallo limone, i pavimenti in marmo grigio e le lampade a neon. Da fuori, quel posto rispecchiava pienamente la sua funzione. Era un posto spento, sembrava persino stanco; un gigante edificio marroncino piazzato a caso in periferia.

Celeste si morse il labbro, dal dolore. Non era la prima volta che ci andava, in carcere, e non sarebbe stata l'ultima.

Lei era innamorata di Giovanni, lui amava lei. Giovanni era cresciuto con una famiglia difficile - madre alcolista e padre violento. Aveva imparato a sue spese che se volevi qualcosa la ottenevi con la violenza; aveva imparato a picchiare per difendersi, per difendere. Giovanni picchiava, ma quella volta aveva picchiato troppo.

Quando sentì i passi pesanti di un uomo saltò su. Davanti a lei apparve una guardia, vestita con la solita divisa. Questa volta non teneva il mitra in mano. Celeste gli osservò le mani. Erano grandi, callose; erano affaticate. Lo seguì, diede i suoi documenti e rispose a tutte le domande di circostanza. Poi seguì una donna. Il rumore dei tacchi delle sue scarpe la innervosivano ancor di più. La portò in una saletta e le chiese di togliere scarpe, calze e giubbotto. Poi cominciò a perquisirla.

Nonostante ci andasse lì da tanto, il tocco pesante della donna la fece rabbrividire. Le venne voglia di scansarla, di urlare che tanto non aveva niente, di star tranquilla. E invece la lasciò fare.

Finì l'ispezione, aspettò che si rimettesse le Convers nere e la portò in una saletta piccola con le pareti azzurro chiaro e senza finestre, con panche addossate al muro e qualche sedia di plastica.

Le tremavano le gambe. Si sforzò di restare in piedi, di restar composta. Davanti a lei c'era una porta blindata, con tanto di uomini in divisa con armi cariche, pronti a sparare al primo carcerato con idee rivoluzionarie.

La porta si aprì. Lei trattenne il fiato. Apparve un uomo davanti a lei, che la guardava come se avesse appena trovato l'oro. Indossava una maglietta di cotone a maniche lunghe e un paio di jeans strappati in alcuni punti - Celeste ricordava di averglieli comprati che erano intatti. Erano strappi profondi, con tanto di sfilacciamenti e pezzi di tessuto pendente. Uno sul ginocchio, rivelò una crosta di sangue ancora fresca.

Aveva la faccia scavata, tutta zigomi e labbra carnose. Sulle guance magre c'era una barba bionda di pochi giorni. Era talmente chiara che quasi non si vedeva. Le accennò un sorriso.

Celeste si lanciò addosso a lui, facendolo barcollare; gli gettò le braccia al collo. Giovanni le baciava i capelli, le mani, il collo, la bocca, le guance. Sembrava felice e disperato, come se non la vedesse mai abbastanza. Le bacio le labbra, assaporò il suo profumo. La amava e lei lo sapeva.

Celeste lo strinse a sé. Non voleva lasciarlo mai più. «Ti amo» mormorò al suo orecchio.

Giovanni le strinse la schiena, facendo pressione sulle sue costole magre. «Ti amo anch'io» le rispose.

Celeste scese dalle sue braccia, toccandogli la faccia come faceva ogni mese per controllare che non avesse picchiato qualcun'altro. Controllò il corpo; trovò un graffio sul braccio, appena sopra il polso, di poca profondità; sembrava una mezzaluna.

Gli strinse il braccio con forza. «Che cazzo hai fatto qui?» sbottò, guardandolo negli occhi. Giovanni strinse le spalle.

«Non mi ricordo. E poi guarda, se ne sta andando.»

Le sfumature dell'amore||One-ShotWhere stories live. Discover now