X.

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Questo è quello che sento quando mi carezzi. Come milioni di piccoli universi che nascono e muoiono nello spazio tra il tuo dito e la mia pelle.
Iain Thomas

Mi hanno cresciuta col pensiero che innamorarsi di una persona del tuo stesso sesso sia sbagliato. Mi hanno cresciuta col pensiero che innamorarsi di una persona molto più grande di te sia sbagliato. Mi hanno cresciuta facendomi credere che il Principe Azzurro fosse reale, che da grande avrei fatto la principessa e che mi sarebbe bastato sbattere le ciglia per avere ciò che desidero.

Col tempo ho capito che tutto quello era sbagliato. Che l'amore non si limita al sesso e all'età, ma che è molto di più. Ho capito che San Valentino è una festa creata dalle donne per spronare i propri fidanzati a far loro un regalo; che Natale esiste per spendere e che ai compleanni si festeggia la pelle che invecchia.

Ho capito che la vita è una, che non va sprecata dietro inutili regole che fermano la nostra esistenza, come fa l'attrito sulle gomme dell'auto. Fin quando non ci rimettono gli altri, tu puoi fare tutto. Ho capito che essere figli unici non è bello e che avere dei genitori che ti lasciano fare tutto è uguale a non averceli.

Ho capito di essermi innamorata di Aldo quando, osservando una stella cadente, ho chiesto di ricevere il suo amore. Ho capito che Aldo non mi amava quando si limitava alle lezioni di ginnastica; ho capito che mi voleva bene quando cadevo e, allora, mi massaggiava le ossa, preoccupato. Ho capito che non era sbagliato ma solamente scandaloso, il mio amore, e che col tempo tutti ci avrebbero fatto l'abitudine. Perché nella vita ci si abitua a tutto, al meglio come al peggio, e che se anche non ti piace non puoi farci niente, perché io non avrei smesso di amarlo da un giorno all'altro.

Ho capito che mia madre era contraria ai miei sentimenti quando vide come guardavo Aldo.

«Spero di essermi sbagliata» mi disse, guardandoci. «Spero vivamente di starmi sbagliando.»

Capii che le faceva schifo e che sarei stata sbattuta fuori di casa se l'avessi detto. Io infatti non lo dissi, ma lei lo capì. Lo capì quando mi riaccompagnò a casa, una sera tarda, e io gli baciai la guancia, senza nemmeno farci tanto caso.

Quella sera lei mi vide dalla finestra. Mi urlò di andarmene, che facevo schifo, che era sbagliato. Mi urlò che lui era troppo grande per me, che io ero solo una bambina e che mi sarei dovuta ritirare dal corso.

Le dissi che era tutto okay, che aveva visto male, che era solo il mio istruttore, niente di più.

Mi cacciò di casa.

Era cominciato tutto quando, incitata da mia madre, mi ero iscritta ai corsi di boxe. Avevano cercato di stuprarmi una sera e, se non fosse stato per un mio amico che usciva dal locale insieme a me, avrei rischiato di essere picchiata o, peggio, uccisa. Ero terrorizzata, volevo sapermi proteggere da sola. Mi iscrisse a quel corso e io ci misi tutta me stessa. Volevo essere libera, poter uscire di sera senza esser stuprata. Volevo avere gli stessi diritti dei maschi.

Andavo in palestra tre volte a settimana, dalle quattro e mezza alle sette. Uscivo e, per i primi due mesi, mi passava a prendere mia madre. Poi mi lasciò tornare in autobus; a volte mi dimenticavo l'ora e pregavo Aldo di continuare l'allenamento, che mia madre non avrebbe detto niente. Finivamo alle otto e mi portava a casa.

«È troppo pericoloso» mi diceva. «Ti accompagno io.»

Aldo aveva quarantun anni e io venti. Aveva i capelli castani, le labbra spesse e gli occhi di chi ne ha passate tante e tante ancora ne passerà. Indossava magliette bianche e io mi ci incantavo su. Aveva un naso importante, uno di quelli che vedi e capisci subito che ha ricevuto più pugni che baci. Era alto, talmente alto e muscoloso che gli mancava solo la pelle verde per sembrare Hulk.

Era un tipo taciturno. Non parlava quasi mai, se non era necessario, e non mi urlava mai contro. «Ce la puoi fare» mi diceva con la sua voce graffiante, e io allora prendevo ancora di più a pugni il sacco da boxe, come se volessi vederlo cadere. Mi diceva che ero forte quando mi faceva fare centodieci addominali di fila, mi diceva che ce la potevo fare quando dovevo sollevare i pesi. Mi convinse, mi aiutò. Mi fece innamorare.

Quel giorno che mi cacciò di casa non avevo la più pallida idea di dove andare. Piangevo, stringevo il borsone con i miei vestiti fra le mani. Scesi le scale, aprii il cancello e lo trovai lì. Mi corse incontro.

«Ho sentito delle urla» mi disse. «Cosa succede, Daniela? Perché piangi?»

Gli dissi che mi aveva cacciata di casa; mi abbracciò. «Ti porto a casa mia» mi disse. «Ti porto a casa». Mi lasciò dormire nel suo letto e lui andò sul divano. Non riuscii a chiudere occhio; stremata, mi alzai e andai in salotto. Dormiva beato, a pancia in giù. Occupava tutto il divano; un braccio pendeva e toccava il pavimento. La coperta era caduta tutta ai suoi piedi; aveva la pelle d'oca. Mi avvicinai piano, lo coprii. Lui ebbe un gemito, si mosse, mi afferrò la mano. Dormiva ancora, così gliela baciai e la poggiai sul divano.

Dopo quella notte mi ospitò per un mese e mezzo, prima che mia madre mi venisse a cercare di nuovo. Si alzava alle sei, si faceva la doccia, gli preparavo la colazione e mangiavamo insieme. Ebbi il tempo di conoscerlo meglio; venni a scoprire che era orfano di madre e che se n'era andato di casa a sedici anni. Mi raccontò di dove andava a dormire la notte, di come faceva per tener la sua casa - un monolocale ottenuto a pugni in un quartiere di tossicodipendenti - e di come trovò il lavoro. Gli raccontai della mia infanzia, del lavoro che facevo e delle mie passioni. Lui se ne andava per le otto, io me ne andavo pochi minuti dopo. Lo obbligai a tornare a dormire nel suo letto e io occupai il divano. Non glielo dissi mai, ma una notte sentii le sue mani calde rimboccarmi le coperte, accarezzarmi il viso e le labbra. Uscivo da lavoro alle tre e mezzo, correvo in palestra e uscivamo insieme, la sera tardi. Cucinavo, lui mi parlava, poi guardavamo la tv e facevamo a gara su chi sparecchiava più in fretta.

Una notte, con il temporale, saltò la luce. Si era dimenticato anche di pagare il riscaldamento. Avevamo mangiato al lume di candela - niente di romantico, era solo più per comodità - avvolti fra le coperte. «Fa freddo» mi disse, dopo aver sparecchiato. «Posso dormire con te?» gli chiesi, in risposta. Dormimmo insieme; mi abbracciò e io poggiai la testa sul suo petto.

Lo amavo. Credevo che, essendo un uomo solo, avrei avuto una possibilità. Non mi dichiarai mai. Forse lo feci capire, ma mai intenzionalmente. Lo amavo alla follia.

Mia madre mi chiese scusa, ci riappacificammo. Aldo ci rimase male, mi disse che si era abituato a vedermi cucinare e pulire casa, ma sapevo che non era solo per quello. Le sarei mancata? Forse. Lo speravo con tutta me stessa.

Arrivò San Valentino e io preparai i suoi biscotti preferiti. Li misi bene in una scatola, andai fino a casa sua e la poggiai davanti alla porta, con un bigliettino. "Grazie di tutto" ci scrissi sopra.

Arrivò la sera del mio compleanno, uscimmo insieme. «Non mi hai fatto il regalo» scherzai. Lui mi guardò negli occhi, mi abbracciò. Successe in un attimo. Le sue labbra toccarono le mie, lo baciai avidamente. Afferrai la sua maglietta, lo avvicinai. Lui mi strinse i fianchi, mi spinse la testa verso di lui, intensificò il bacio.

Quella notte facemmo l'amore fino all'alba. Mi abbracciava da dietro, mi baciava la pelle, stringeva i miei fianchi fino a farmi venire i lividi. «Ti amo» gli dicevo, appena riprendevo fiato. «Credo di amarti anch'io» mi rispondeva, col fiato corto.

Smisi di andare in palestra, dopo quell'avvenimento. Ci fidanzammo, mi trasferii a casa sua.

Ci amavamo.

Mia madre accettò la cosa, col tempo. Ne fu obbligata. Col tempo accettò il nostro matrimonio. Accettò di averlo in famiglia, accettò di vederlo seduto a tavola a Natale e a Pasqua. Col tempo, accettò anche le mie tre gravidanze.

Mi hanno cresciuta col pensiero che le cotte adolescenziali non durano un anno. Ho imparato da sola che non è per nulla vero.

Io e Aldo stiamo insieme da ventiquattro anni, e ci amiamo come non mai.

Le sfumature dell'amore||One-ShotDove le storie prendono vita. Scoprilo ora