Tears In Heaven

594 22 2
                                    

... Time can bring you down;
time can bend your knees
Time can break your heart,
have you begging please ...

Dicono che la follia sia evadere dalla realtà, fare finta che non esista per sopravvivere al dolore e alla nostra stessa vita. Se la follia fosse questo io probabilmente ero diventata folle per non impazzire. Ci sono dei dolori e delle sofferenze dell'animo che solo facendo finta che non esistano si possono superare e si può vivere. Anzi, si può sopravvivere.
Di tutte le cose che Tony mi aveva detto, quella che mi aveva realmente devastato, era stata l'accusarmi di non provare nulla per nostro figlio e di aver fatto finta di niente, per tutto questo tempo, mentre noi eravamo a Washington e lui in Israele. Era stata come un faro acceso, puntato dritto in faccia, che faceva risplendere il mio dolore in modo così intenso che abbagliava e mi annebbiava anche la vista.

Quante volte ho pensato di dirglielo, quante volte sono stata sul punto di cedere, di liberarmi da questo macigno. Ogni volta che lui diceva di amarmi, che parlava della nostra vita insieme, vivevo con la sensazione di tradirlo, ogni momento. Ma parlarne con lui sarebbe stato rendere tutto ancora più reale, sarebbe stato uno straziarsi in due, con la paura, che ormai è una certezza, che non avrebbe capito, che sarebbe finito tutto e, egoisticamente, non lo accettavo. Avrei voluto dirgli tutto presentandogli suo figlio, quando finalmente sarebbe stato qui. Avrei voluto vederli guardarsi negli occhi e riconoscersi, quegli occhi così uguali, che sapevano trafiggermi l'anima. Non è stato possibile. Ora non sarebbe stato possibile più niente.

Le parole di Tony sono state la presa di coscienza che strappa il velo di follia e fa impazzire di dolore. Nathan era stato tutta la mia vita nei 3 anni in Israele. Da prima che nascesse quando era dentro di me, era la mia unica ancora di salvezza e l'unica cosa che mi dava ogni giorno la forza di andare avanti. Nathan era veramente il mio dono.
Concentrarmi solo su quello che dovevo fare, su quello che dovevo cercare, era l'unico modo per non impazzire nell'attesa di poterlo riabbracciare. Scacciare di continuo la sua immagine dalla mente era l'unico modo per non cedere a crisi di pianto, fare finta di nulla era l'unico modo per non cadere nel baratro dell'angoscia per la paura di non vederlo più.

Nathan era parte di me. Era la parte migliore di me ed era quello che mi aveva fatto capire che dentro di me c'era altro. Nathan era come suo padre: l'unico che sapeva toccarmi tutte le corde del cuore, che riusciva a farmi provare un amore smisurato ed infinito. Era il frutto dell'amore più vero che abbia mai provato, dell'amore più dolce e sincero. Per questo per me era veramente un Dono d'Amore. Nei suoi occhi c'erano gli occhi di Tony, lo stesso sguardo furbo e mascalzone di chi aveva già capito che per me era impossibile non cedere davanti a lui. Magari lo avessi fatto anche con suo padre prima di quanto il destino avesse mi quasi imposto di farlo, facendomelo ritrovare davanti.
Passavo le ore a guardare mio figlio. E quegli anni sono volati nel vederlo crescere, troppo velocemente, per riuscire ad assaporare ogni momento. Dal suo primo pianto, piccolissimo, appena nato, in anticipo rispetto a tutte le tabelle, perché aveva tanta voglia di vedere il mondo, a quando me lo hanno appoggiato sul petto la prima volta ed apriva gli occhi al mondo. La prima volta che ho visto nei suoi occhi gli occhi di suo padre, ed in quel momento era tutto così chiaro del perchè lui era lì, lui era nato. Quel primo sguardo così intenso da farmi dimenticare che c'era tutto un mondo intorno a noi, così forte da sembrare che anche tutto il mondo ora girasse in modo diverso, girasse solo in funzione sua. La sua manina che stringeva con una forza esagerata per un corpicino così piccolo il mio dito. Le notti insonni passate a cullarlo, le giornate insieme sul lettone a giocare e a farci le coccole. Le prime parole, i primi passi. La prima volta che mi ha chiamato mamma. Il suo sorriso, le sue risate. Lui e la sua palla, che all'inizio era più grande di lui e non riusciva a portarla nemmeno con tutte e due le braccia e i pomeriggi passati a giocarci. Lui ed i suoi dinosauri che si mangiavano tra loro e "tu tieni questo che è quello buono" quando mi dava quello con l'espressione meno cattiva. Perché lui era l'unico che in me vedeva solo la mamma, l'unico ad avermi visto solo per quello che ero con lui, non per quello che ero stata e che sarei stata ancora, l'unico che non mi giudicava e che si fidava di me in maniera incondizionata.

The Memory RemainsWhere stories live. Discover now