DICIOTTO

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Michael doveva ammetterlo: era agitato.
Il fatidico sabato pomeriggio era arrivato, e lui era terribilmente nervoso. Nemmeno al primo appuntamento con Taylor si era sentito così. Per giunta, quello non era nemmeno un appuntamento, ma un semplice incontro tra vicini di casa per delle semplici ripetizioni di filosofia (okay, sì, anche se il vicino di casa in questione era il nuovo arrivato in casa Morgan, troppo carino, timido e dolcissimo, e, piccolo problema: lui, Michael Clifford, non era gay).
Quella mattina Michael aveva terminato il turno in negozio con mezz'ora di anticipo, così era corso a casa, si era fatto una doccia e, dopo una lunga scelta, aveva finalmente deciso cosa indossare per non fare brutta figura. Proprio come ad un appuntamento.
In quel momento stava cercando la maglietta con la scritta "IDIOT", e nel frattempo si stava aggiustando i capelli con del gel, mentre contemporaneamente faceva un atletico slalom tra le scarpe e i vestiti sparsi in giro per la camera.
Ma dove accidenti era finita quella maglietta?
Sbuffò, e si precipitò al piano di sotto, in cucina.
<Mamma, hai per caso visto la mia maglietta bianca con le maniche nere?> chiese alla donna, comparendo sulla porta con addosso soltanto un paio di jeans skinny neri.
Karen alzò gli occhi dal vestito che stava stirando, e ci pensò un attimo. <Intendi quella con la scritta da idiota?>
<Veramente, ha scritto proprio "idiota"> la corresse lui. <Comunque sì, quella.>
<Io non l'ho toccata, tesoro. Deve essere da qualche parte nel tuo armadio, in mezzo a tutto quel caos.> Diede un ultimo colpetto con il ferro al vestito a fiori. <Hai quasi ventitré anni e stai per sposarti, Michael. Non farti dire ancora da tua madre di mettere in ordine la tua stanza.>
Michael roteò gli occhi, ma poi guardò l'ora sull'orologio appeso alla parete. 15.25. Merda, Luke sarebbe arrivato a momenti e, pensandoci, la sua camera era veramente un disastro. <Vado a cercarla meglio, allora> disse, facendo per incamminarsi su per le scale.
<Aspetti qualcuno, tesoro?> gli domandò sua mamma con fare curioso, notando l'olezzo di dopobarba misto a profumo Calvin Klein che Michael si era spruzzato. Un po' troppo, sinceramente. Sembrava che avesse fatto il bagno nella boccetta del profumo.
<Ehm, si. Uno dei ragazzi che ospita Lisa mi ha chiesto se posso dargli qualche ripetizione di filosofia.>
<Ah, sì, Lisa me l'aveva accennato ieri. É un bel gesto da parte tua, tesoro.>
"Pettegole" pensò Michael quando si rifugiò nuovamente in camera sua. Iniziò subito a raccogliere da terra magliette e pantaloni alla rinfusa a velocità della luce, e a stiparle nell'armadio. Aveva solo cinque minuti a disposizione, e doveva riordinare almeno un po' quel casino.
<Oh, ecco dove era finita> esclamò scorgendo vicino al letto la maglietta che gli serviva.
Proprio in quel momento suonò il campanello.
Michael sentì accelerare i battiti cardiaci. "Oh, accidenti."
Si vestì e scese le scale in tutta fretta, quasi volando sopra ai gradini.
<Vado io!> lo precedette Karen, spuntando in corridoio e dirigendosi verso la porta.
<No, mamma!> cercò di fermarla lui, a momenti inciampando negli scalini.
Troppo tardi.
Karen aprì la porta, e si ritrovò davanti un Luke bello composto e pettinato nel suo giubbotto, con le guance leggermente arrossate per il freddo, o forse per l'imbarazzo dovuto al fatto che non si aspettasse di trovarsi davanti una donna sulla cinquantina.
Quella mattina Lorenza aveva costretto l'australiano a farsi una bella doccia, a levarsi capelli e denti, lo aveva aiutato a scegliere i vestiti adatti da indossare e gli aveva spruzzato una quantità eccessiva di profumo, anche in bocca.
<Non si può mai sapere> aveva ammiccato la ragazza, e lui era arrossito.
Poi, quando aveva incrociato Calum in cucina, quest'ultimo gli aveva chiesto se per caso, invece di recarsi alle ripetizioni, non stesse in realtà per uscire con una bella pollastra e lui non era al corrente.
Il diciassettenne sbatté un attimo le palpebre. Quel volto non gli era nuovo. Dove l'aveva già vista, però?
<Ciao, tu devi essere il ragazzo delle ripetizioni. Io sono Karen, la mamma di Michael> si presentò la donna, rivolgendogli un sorriso.
<Luke. Piacere di conoscerla> rispose lui.
Karen lo fece accomodare in casa. L'interno assomigliava parecchio a casa Morgan, con un piccolo corridoio, un grande salotto e la cucina che si intravedeva alla sua destra.
<Non vorrei sbagliarmi, ma forse io e te ci siamo già visti da qualche parte, Luke> gli fece notare lei, sempre sorridendogli.
<Sì, lo penso anche io. Ora, però, non saprei dirle dove.>
<Fammi indovinare: magari l'hai incontrata alla St Edmund's School?> intervenne invece Michael, comparendo alle spalle di sua mamma.
Le labbra di Luke si allargarono in uno dei suoi migliori sorrisi, uno di quelli che lasciavano intravedere per bene quelle sue adorabili fossette ai lati della bocca, e il suo cuore iniziò a battere forte.
<Ciao, Michael> lo salutò, quasi in un sussurro estatico.
<Ciao, Luke.> Michael ricambiò dolcemente il sorriso, mentre desiderava mentalmente che sua mamma scomparisse il più in fretta possibile, ancora meglio in quel preciso istante.
<Ah, ora ho capito dove ti ho già visto!> esclamò Karen. <Alla St Edmund's, proprio come dice Michael. Quando sei venuto a ritirare la tua divisa scolastica.>
Luke fece un attimo mente locale. <Sì, esatto. Ora ricordo.>
Ricordò quegli occhi verdi e di come aveva pensato che assomigliassero a quelli di Michael. Allora ecco chi era quella donna vedova che viveva a Sturry Canterbury con il figlio. Abitava proprio di fronte a lui ed era la madre del ragazzo per cui aveva una cotta.
Quindi il papà di Michael era morto quando lui era piccolo. In quel momento il diciassettenne provò un grande dispiacere per il ragazzo davanti a lui, e cercò di non guardarlo per non farglielo notare. Dopo qualche secondo alzò nuovamente lo sguardo su di lui e lo osservò un attimo con attenzione. Quel giorno, con addosso quei jeans e quella maglietta, Michael gli parve così semplicemente attraente. Bellissimo.
<Vabbé, ragazzi, io vi lascio> annunciò a quel punto Karen. <Vado a trovare la nonna, Michael. Sarò di ritorno per cena.> Si avviò verso la cucina, ma all'ultimo si voltò di nuovo un attimo verso il figlio. <Dimenticavo: Michael, tesoro, hai addosso due calze spaiate.>
Questa volta scomparve veramente in cucina.
Michael divenne paonazzo. "Ti prego, fa che sia uno scherzo. Fa che sia uno scherzo." Diede una sbirciatina ai suoi piedi, e - accidenti! - indossava veramente due calze diverse.
Che figura!
<Ehm... Mi capita spesso...> buttò lì, grattandosi la parte dietro del collo decisamente in imbarazzo. Poi, guardò Luke. Lui gli sorrise, cercando di trattenere una risata, ma alla fine cedette e scoppiarono a ridere insieme.
Michael pensò che Luke avesse veramente una bella risata, e che avrebbe voluto sentirlo ridere di gusto spesso.
<Forse é meglio se iniziamo con le ripetizioni, cosa dici?> propose poi al diciassettenne, quando si ripresero un po'.
<Sono d'accordo> rispose l'australiano.
<Allora seguimi. Ti condurrò nella mia tana. Non ti spaventare se c'è un po' di caos. Scusami, ma non ho avuto il tempo per riordinare.>
Luke ridacchiò. <Tranquillo, nessun problema> gli disse, e lo seguì su per le scale.

Solo Per Te (Muke)Where stories live. Discover now