UNDICI

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Ogni persona reagisce a proprio modo. Questo era più che vero, e Michael ne era certo al cento per cento, però non avrebbe mai immaginato che un piercing al sopracciglio avrebbe provocato una così varietà di reazioni.
Il giorno prima, giovedì pomeriggio, era rientrato a casa tutto fiero e soddisfatto, sfoggiando il suo piercing nuovo come se fosse un trofeo.
La prima persona che aveva incontrato quella sera era stata, ovviamente, sua mamma, quando la donna era ritornata dal lavoro. Appena Karen aveva notato la novità al sopracciglio del figlio, gli si era avvicinata e gli aveva preso il viso tra le mani, osservando attentamente quella specie di orecchino sopra al suo occhio destro, e facendolo voltare diverse volte per poterlo vedere da differenti angolazioni.
<É un po' arrossato lì intorno, però> aveva notato alla fine. <Sicuro che non abbia fatto infezione?>
Michael aveva scrollato la testa. <Tranquilla, mamma. É così solo perché é fatto da poco. Domani sarà già meglio.>
Karen, allora, era parsa più sollevata. <Ti sta bene, tesoro, sai?> aveva ammesso poi. <Tu mi conosci, non sono una persona particolarmente amante di questo genere di cose, però devo dire che ti dona molto.>
Il ragazzo le aveva sorriso e l'aveva ringraziata, schioccandole un sonoro bacio sulla guancia.
Un paio di ore dopo, era stato il turno di Taylor.
Quando gli era arrivata su Skype una video chiamata da parte della sua fidanzata, Michael era definitivamente pronto per assistere alla sua reazione.
Lei subito lo aveva salutato con un enorme sorriso, tutta felice di vederlo, e poi, dopo avergli chiesto come stava e se stava procedendo tutto a posto lì a Canterbury, si era messa a raccontargli per una buona mezz'ora di Anaïs, la ragazza con la quale divideva il suo appartamento nel Quartiere Latino. Michael l'aveva ascoltata praticamente seduto di tre quarti di fronte al computer, con il volto leggermente girato verso la sua destra per impedirle ancora di vedere il suo nuovo piercing.
<Amore, ma perché stai seduto storto?> gli aveva chiesto a quel punto la ragazza, proprio quando il ventiduenne aveva pensato che forse non se ne era nemmeno accorta.
Era subito arrossito di colpo, sperando che non si riuscisse a scorgere così tanto attraverso la webcam.
<Perché sono comodo, così> aveva buttato lì, facendo del suo meglio per non far tremare la voce. Era proprio una frana nel dire le bugie, anche le più innocenti e a fin di bene.
<Michael Gordon, stai mentendo. Cosa mi nascondi? Ci sono problemi con il matrimonio?>
Michael aveva scosso la testa. <Assolutamente no, é tutto okay.>
Solo in quel momento Taylor si era ricordata del piercing. <É vero, il piercing! Come ho fatto a dimenticarmene? L'hai fatto alla fine?>
Michael aveva annuito timidamente. 
<Posso...posso vederlo?>
A quel punto il ragazzo si era raddrizzato meglio di fronte allo schermo del pc e aveva voltato la testa in modo che Taylor vedesse bene il suo sopracciglio destro.
Una frazione di secondi dopo la ragazza aveva tirato un urlo peggio di come se avesse visto un ragno, così forte che Michael aveva temuto che l'avesse sentita anche sua mamma al piano di sotto e addirittura i vicini di casa.
<Oh mio Dio, Michael, ma é tutto arrossato lì intorno! Ci deve essere di sicuro qualche infezione! Mettici del ghiaccio, qualcosa, oppure é meglio se ti fai visitare da qualcuno! Si, é sicuramente meglio.> Taylor aveva detto tutto ciò tutto d'un fiato, ansimando.
<Taylor, per favore, non urlare. Non é assolutamente niente di grave> aveva cercato di spiegarle Michael, ma lei aveva continuato a starnazzare peggio di un'oca.
<E se non avessero cambiato l'ago? É certamente così che si contraggono le malattie infettive!>
<Taylor, non ho fatto l'esame del sangue o il vaccino, accidenti. Comunque, é un po' rosso perché é fatto da poco, nel giro di qualche giorno dovrebbe passare.>
La ragazza aveva annuito, non del tutto convinta, e poi gli aveva chiesto se gli avesse fatto male, ma lo aveva interrotto a metà del racconto perché le faceva piuttosto senso e non voleva nemmeno immaginarlo.
Poi erano rimasti entrambi in silenzio per una manciata di secondi, prima che Taylor riprendesse a parlare.
<Amore, posso dirti la mia opinione? Quel piercing non ti sta male, però io lo trovo inutile. Non mi piace per niente, lo odio già, guarda.>
<Grazie per la sincerità> le aveva risposto Michael. Sapeva che Taylor non lo avrebbe trovato di suo gradimento, però quelle parole lo avevano ferito non poco. Certe volte la sua fidanzata non sapeva proprio vedere quello che piaceva a lui e lo obbligava a fare quello che invece piaceva a lei, un po' come con i centrotavola.
<Scusami, tesoro, ma preferisco essere sincera> si era difesa lei, a sua volta. <Credo proprio che non mi abituerò mai all'idea che tu ora abbia un piercing al sopracciglio. É meglio che te le goda ora finché non torno in Inghilterra, perché quando saremo marito e moglie dovrai abituarti a non portarlo sempre.>
"Forse sei tu quella che si dovrà abituare" aveva pensato Michael, ma in quel momento non aveva avuto voglia di mettersi a discutere; e anche se ne avesse avuta non avrebbe fatto in tempo a risponderle, perché Taylor aveva già cambiato argomento e si era messa a chiacchierare tranquillamente. Lui, allora, l'aveva ascoltata, sperando che la finisse in fretta.
<Ah, Michael, prima che mi dimentichi: cosa ne dici se ci sposassimo nella cattedrale, invece che nella parrocchia vicino a casa mia?> gli aveva poi proposto la ragazza.
Michael aveva strabuzzato gli occhi. <Nella cattedrale? Ma si può?>
<Non lo so, amore. É per questo che te lo sto chiedendo. Se sei d'accordo potresti andare a chiedere informazioni, un giorno di questi.>
<E ci sposiamo di fronte all'arcivescovo di Canterbury? Ma non potremmo era stare un po' più con i piedi per terra?> L'arcivescovo di Canterbury, infatti, era la figura più importante della chiesa anglicana, un po' come lo era il Papa per la chiesa cattolica.
Taylor aveva roteato gli occhi. <Michael, non ti ho proposto di sposarci a Westminster! Si tratta solo di chiedere, se si può meglio, se no pazienza. Ti prego, ti prego, ti prego!>
<Va bene, andrò ad informarmi e poi ti riferirò> aveva sbuffato alla fine il ragazzo, accennandole comunque un sorriso. <Domani non penso, perché sono tutto il giorno in negozio, dopodomani forse.>
Taylor allora gli aveva mandato una serie di baci attraverso lo schermo. <Grazie, grazie! Veramente, grazie, amore! Sei meraviglioso!>
<Non ti assicuro niente, però.>
<Allora dopodomani vai, non fa niente se é sabato. Non te lo dimenticare, mi raccomando. Ora devo andare, ci sentiamo domani. Ciao, amore. Ti amo!>
<Anche io. Buonanotte amore.>
Poco dopo era andato a dormire, cercando di non pensare a quell'ultima conversazione con Taylor,  e pensando che l'indomani sarebbe stato un altro giorno. Magari gli avrebbe serbato qualche sorpresa.
<Oh, per San Patrizio! Ti sei fatto il piercing! Non ci credo, wow, non ci credo assolutamente!>
Ecco. La prima sorpresa di venerdì mattina.
Questa fu la reazione di Ed non appena Michael mise piede in negozio, alla solita ora in cui il ventiduenne iniziava il suo turno di lavoro.
Michael rise guardando l'altro ragazzo, che continuava a fissarlo a bocca aperta da dietro il bancone, dentro ad una camicia a quadri arrotolata sulle maniche che lasciava intravedere parte dei tatuaggi colorati che gli coprivano le braccia.
<Michael, te lo giuro, sono sorpreso. Ti prego, dammi un pizzicotto, perché stento a crederci> ripeté Ed, ridendo a sua volta.
<Credici, invece, Ed. É tutto vero> gli confermò il biondo.
Qui si riconfermava la teoria di Michael, secondo la quale tutti reagivano a modo loro.
Di certo, però, non si sarebbe mai aspettato che il suo collega di lavoro fosse così partecipe la suo piccolo desiderio realizzato.
D'altronde glielo aveva confidato soltanto una volta, durante una pausa pranzo di inizio agosto, e non pensava nemmeno che se lo ricordasse ancora. Anzi, era lui quello che quasi si era scordato di avergliene parlato in precedenza.
Michael conosceva Ed da sì e no quasi tre mesi, da quando Henry Browne si era licenziato e il ragazzo dai tatuaggi colorati aveva preso il suo posto al Warman's Music, dividendo così i suoi turni di lavoro, oltre che a guidare il furgone per consegnare gli strumenti.
Sin da subito, Ed gli era sembrato un ragazzo a modo, educato e gentile con tutti, non solo con i clienti. Era diverso dai suoi amici, lui dava l'impressione di essere una persona che ascoltava, sosteneva e consigliava sulle decisioni altrui, non uno che decideva per gli altri.
Il biondo avrebbe voluto provare a confidarsi con lui, ma mancava ancora un po' quella confidenza e quell'affinità tipica dei veri amici. Comunque avevano già instaurato un buon rapporto, che con il tempo sarebbe potuto tramutare in amicizia e non solo in una conoscenza tra colleghi di lavoro.
Con quegli occhi verdi simili ai suoi, i capelli rossi e un leggero accenno di barba della stesa tonalità, Edward Sheeran - o semplicemente Ed come lo chiamavano tutti - aveva tanto ricordato a Michael un irlandese sin dalla prima volta in cui lo aveva visto, quando il proprietario del negozio glielo aveva presentato come nuovo commesso. D'altronde, chi non lo avrebbe pensato trovandosi di fronte una persona con quelle caratteristiche così stereotipate? E in effetti Ed era veramente in parte irlandese: i suoi nonni paterni erano originari di una piccola cittadina a nord di Dublino, e i suoi genitori lo avevano educato secondo gli insegnamenti della religione cattolica, però lui era nato ad Halifax, Inghilterra, ed aveva vissuto i suoi primi anni di vita a Hebden Bridge, nel West Yorkshire, per poi essersi trasferito a Framlingham, Suffolk. Da circa due anni viveva ormai a Canterbury, in attesa di mettere da parte qualche soldo per poi poter fare finalmente fortuna a Londra, come aveva sempre sognato.
Era anche coetaneo di Michael e, secondo il biondo, con il suo animo romantico, l'aria da eterno sognatore e quel viso tondo e paffuto come un tenero orsacchiotto da strapazzare di coccole, Ed sarebbe stato il fidanzato ideale per qualsiasi ragazza, anche se per il momento la sua relazione più duratura era quella con la sua adorata chitarra classica.
Ebbene sì, perché Ed Sheeran amava moltissimo la musica, soprattutto comporre canzoni e cantarle accompagnandosi con il suo immancabile strumento a corde, che sapeva cantare sin da piccolo.
Aveva solo tredici anni quando, durante un concerto di Damien Rice a Dublino, il giovane Ed aveva capito di voler diventare un cantautore. Da allora aveva iniziato ad incidere i suoi primi EP, e a soli sedici anni si era persino trasferito per la prima volta a Londra, dove ogni sera andava di pub in pub a cantare le sue canzoni, vendendo apprezzato ma non essendo notato da nessuno in particolare.
Nel 2011 aveva anche inciso il suo primo album, +, ma più o meno aveva ottenuto lo stesso successo delle sue esibizioni londinesi, e sognava con tutto sé stesso di poterne inciderne un secondo e di intitolarlo X, sperando che venisse apprezzato per il suo talento e per l'impegno e l'amore con cui aveva composto le canzoni contenute al suo interno.
Inizialmente Michael aveva pensato che Ed fosse un amante della matematica, ma poi lui gli aveva spiegato che doveva leggerlo come una "ics" e non come un "più", e aveva scelto quei titoli perché almeno erano semplici, facili da ricordare e senza un significato contorto dietro.
Un giorno, durante un momento in cui c'era poco affollamento di clienti in negozio, Ed aveva fatto ascoltare a Michael due canzoni contenute in +, Lego House e The A Team, ed era inutile dire che il biondo era rimasto senza parole sentendo la bellissima voce del ragazzo dai capelli rossi e notando quando fosse bravo, soprattutto visto che aveva composto tutto da solo.
Erano quasi indescrivibili le sensazioni che si provavano quando lo si ascoltava cantare. Quel ragazzo era eccezionale, unico, un vero e proprio poeta. Era il "poeta dai capelli rossi che sogna case di Lego", come si era permesso di soprannominarlo Michael, mentre il diretto interessato a quelle parole era dapprima arrossito per il complimento e poi aveva riso, dicendo che gli piaceva molto quel soprannome.
Il timido ma determinato Ed, che sognava di diventare famoso per la sua musica e non per la sua immagine, restando pur sempre con i piedi per terra.
Quel giorno in cui Michael aveva scoperto la bravura del suo collega di lavoro, il ventiduenne aveva anche concluso quanto "The A Team" fosse orecchiabile e piena di significato, così come lo aveva colpito la storia che c'era dietro a quella canzone.
Una sera Ed era stato invitato a suonare in un ritrovo per senzatetto, e qui aveva conosciuto la storia di Angel, una giovane ragazza dipendente dall'eroina costretta a prostituirsi per pagarsi il cash. Allora lui aveva solo diciotto anni ed era ancora piuttosto ingenuo, ed era rimasto così colpito da quel racconto tanto che aveva iniziato subito a buttare giù molti versi durante il viaggio di ritorno verso casa, seduto su un sedile del treno, e poi aveva completato il tutto una volta rincasato. Era nata così "The A Team".

Solo Per Te (Muke)Where stories live. Discover now