Chapter 22. The day after Alex

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"E' finita?"

"Sì"

"Ti ha detto proprio così?"

"Sì. E' finita"

"E tu?"

"Io cosa?"

"Cosa le hai detto?"

"Niente"

"Come niente?"

"Non le ho detto niente"

"Niente? Nemmeno un cenno?"

"No. Niente"

"E cos'hai fatto?"

"L'ho salutata e sono andata via"

"Sei andata via?"

"Sì"

"Piper, sei corsa via?"

"Sì, forse "corsa via" è più adatto di "andata via"..."

"Piper"
"Mer, non dire nulla"

"Non hai nemmeno provato a dirle qualcosa?"

"No. Cos'avrei dovuto dirle? Aprirle il mio cuore quando lei mi aveva appena chiuso il suo?"

"E ora cosa pensi di fare?"

"Niente. Proprio niente"

Era l'una del mattino. Io e Merida eravamo sedute sul mio letto a parlare. Sul comodino la luce era accesa, insieme a due tazze vuote che fino a qualche ora prima erano piene di cioccolata fumante.

Merida era giunta a casa mia dopo cena. Non ero andata a cercarla e quindi sapeva che nello studio di Alex non era andata bene. Arrivò a casa mia e quando le aprii la porta d'ingresso, mi abbracciò. Non mi chiese nulla fino a quando, dopo aver preparato qualcosa di caldo, andammo in camera mia. Non piangevo più, tutte le lacrime che dovevo versare le avevo versate nel tragitto tra la facoltà e l'appartamento e mi ero ripromessa che, varcata la soglia della mia camera, non avrei più pianto. E così è stato.

"Mi è sembrato strano non trovarti in lacrime stavolta", disse Merida, vedendomi stranamente calma.

"Piangere? No. Ho deciso di smettere. Almeno quando si tratta di Alex ho capito che non ne vale la pena versare lacrime"

"Wow, sono quasi commossa da queste tue parole Pipes", e fece una finta espressione seria che mi fece scoppiare in una fragorosa risata.

"Smettila di prendermi in giro!", e le tirai un cuscino che lei mi ritirò, iniziando così una gara di cuscinate. Ma dopo un po' smettemmo e decisi che era arrivato il tempo di dormire. Merida dormì con me, come aveva fatto una notte di quasi un anno prima, quando un'altra persona, purtroppo o per fortuna, decise di sparire dalla scena della mia vita.

Martedì passò via tranquillo, senza nessun avvenimento, tranne forse per Nicky, che aveva ricevuto l'anello di fidanzamento. Quello ufficiale.

Mercoledì, alla lezione di Geometria Differenziale, tutti erano sorpresi di non vedere entrare la professoressa Vause alle 11 in punto, ma si ritrovarono con un professore sulla sessantina, mezzo pelato, con gli occhiali grandi che gli cadevano sul naso. Annunciò di essere il professore del corso, era tornato da Harvard ed aveva mandato la professoressa Vause (sì, la chiamo "professoressa Vause", lei mi chiama "Chapman"? E allora io la chiamo "professoressa Vause"!) al suo posto in America, ma non sapeva per quanto tempo.

Mi fece uno strano effetto non vedere Al...la professoressa Vause tra quei numeri, tra quelle formule, tra quei teoremi, i suoi capelli neri che si spostavano da una parte all'altra della lavagna ad una velocità incredibile. Sì, mi mancava, ma non volevo assolutamente pensarci. Anche ai miei compagni, evidentemente, mancava: dopo due ore di lezione si lamentavano già del modo in cui spiegava, o per meglio dire, non spiegava il nuovo arrivato, e speravano solo in un rapido ritorno di Vause.

"Come va?", mi chiese Merida.

"Tutto bene", risposi, anche se in realtà stavo cercando di buttare giù un qualcosa che mi si era creato in gola, simile ad un nodo.

"Va bene.. Senti, io vado a pranzo con Kieran, vuoi venire pure tu?"

"No no grazie, mangio qualcosa al volo e poi mi fiondo in biblioteca a studiare"

"Okay... Ho parlato con Elizabeth, Mark, Jack e stasera pensavamo di andare da Pitt, e vieni anche tu"

"Ma non ho molta voglia..."

"Ho detto che vieni anche tu"

"Va bene, per che ora?"

"Penso per le 22, chiedo conferma agli altri e poi ti scrivo"

"Va bene...a dopo..."

Non avevo voglia di uscire, ma, ahimè, non potevo rinchiudermi in clausura.

Finii di studiare verso le 21 e dal momento che non avevo voglia di tornare a casa a cambiarmi per poi ritornare al bar, decisi di andare là prima e di aspettare gli altri, magari in compagnia di qualcosa di forte, come lo erano stati quei primi tre giorni della settimana.

Mi sedetti al bancone e ordinai a Pitt una tequila. Mi girai verso la porta e in quell'istante mi tornarono in mente tante sensazioni, sensazioni che avevano il sapore dell'attesa, attimi in cui più di una volta mi si era bloccato il respiro. In lontananza mi sembrava di sentire anche un bicchiere che si infrangeva a terra. Guardai anche la porta del bagno, per un secondo fui quasi tentata di alzarmi e di andarci, ma a quale pro? Per ricordarmi il sapore di labbra che non sarebbero più state mie? Per sentire il profumo di una notte di passione ormai sfumata nel nulla?

I miei pensieri furono distolti dall'arrivo dei miei amici. Ci sedemmo ad un tavolo e quando tutti eravamo seduti per ordinare da bere, una mano si appoggiò sulla mia spalla.

"Ciao Piper", disse una voce familiare.

Mi voltai e tutti i miei pensieri tristi si nascosero dietro al sorriso che stavo facendo alla persona che mi stava davanti.

Just a girl in a bar || WATTYS2016Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora