Chapter 14. Deja vù

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Non ci fu molto da dire quando arrivammo a casa.

Alex aprì la porta, mi appoggiò al muro e mi baciò. A quel punto decisi che era il momento più opportuno per dirle una cosa. O forse non lo era.

"Alex, devo dirti una cosa"

Mi guardò, non riusciva a capire se le stessi per dire qualcosa di brutto o di bello.

"Vedi Alex... oddio, non riesco nemmeno a parlare, faccio tanto la spavalda e poi..."

"Non... non vuoi..."

"No no è che... insomma... questa sarebbe...", non riuscivo a continuare.

Alex mi chiuse la bocca con un dito e sorrise.

"Ho capito... non devi dire nient'altro. Vieni"

Mi prese per mano e mi accompagnò, attraverso il salotto, fino alla camera da letto. Cominciò a spogliarmi, lentamente e dolcemente. Mi guardava negli occhi, non smise mai di guardarmi.

E quella notte, la prima della mia vita, conobbi Alexandra Vause come nessuno prima di lei.

La mattina dopo, quando mi svegliai, i raggi del sole facevano capolino dalle finestre lasciate semi aperte, filtravano attraverso le tende e raggiungevano il letto dove io ed Alex giacevamo, nude, circondate da vestiti e lenzuola. Era sabato e quindi nessuna lezione mi avrebbe, o meglio, ci avrebbe fatto sgattaiolare fuori dal letto presto. Guardai l'orologio, erano circa le 8. Alex dormiva ancora e il suo braccio si trovava sotto il mio e mi teneva stretta a lei, il suo viso si poggiava dietro, sulla mia testa. Decisi di non svegliarla. Cercai di divincolarmi dalla sua stretta, facendo attenzione a non fare movimenti troppo bruschi.. Restai ancora un attimo lì a letto, a guardarla dormire. Non potevo credere che fosse la stessa persona con la quale avevo trascorso l'intera notte. Era stata passionale, dolce, violenta, amorevole. Ed ora, lì, rannicchiata, sembrava una bimba innocente, persa in chissà quale sogno. Dopo qualche minuto mi alzai. Misi reggiseno e mutande e indossai la camicia di Alex e poi andai verso la cucina, chiudendo la porta della stanza quando uscii. Cominciai a preparare il caffè, misi la caffettiera sul fuoco e aspettai. Presi due tazze, del latte, dello zucchero e preparai la tavola. Quando il caffè fu pronto lo versai nelle tazze e fu lì che sentii dei passi che venivano verso di me. Feci finta di niente e continuai a versare il caffè. Due braccia mi presero da dietro e mi abbracciarono.

"Buongiorno", mi disse e mi stampò un bacio sulla guancia.

"Buongiorno", dissi e le regalai un sorriso. Lei aveva addosso la mia di camicia.

"Non pensavo che ieri notte avessi davvero dovuto darti una lezione. La tua insegnante in tutto e per tutto", scherzò e mentre cercavo di liberarmi dalla sua presa per quella battuta che mi aveva fatto arrossire, lei mi girò e mi abbracciò. Poi ci mettemmo a tavola e cominciammo a fare colazione. Le chiacchiere di quella colazione si protrassero fino al pomeriggio, facendoci saltare anche l'ora di pranzo. Parlammo di tutto: dalla matematica ai libri, dalla nostra infanzia alla scelta dell'università, dai film alla musica, dalla mia fissazione per i compleanni al suo gioco con i numeri delle targhe. Piano piano ci stavamo raccontando le nostre rispettive storie, senza pensare al futuro. Vivevamo il presente senza domande e senza aspettative. Vivevamo e basta. Le parlai di mia madre Carol, troppo ansiosa e sempre preoccupata per qualsiasi cosa, di mio padre Bill, con il quale avevo uno strano rapporto e che in passato avevo sorpreso con l'amante, di mio fratello Cal, un eterno boy scout e super ecologista, e di mia nonna Celeste, alla quale ero molto legata, molto più che a mia madre. Lei mi raccontò di non aver mai conosciuto suo padre, o un qualcosa del genere, fu molto vaga su questo punto, e del forte legame che avesse con sua madre, Diane. Erano quasi le 6 di sera quando le chiesi se potessi farmi una doccia e lei, quando mi diede della biancheria pulita e degli asciugamani, si spogliò ed entrò in doccia insieme a me. Quando uscimmo, tra una risata e l'altra, avevo abbastanza fame.

Just a girl in a bar || WATTYS2016Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora