Capitolo 37

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Quando la vita prova gusto a farti sorprese è perché non nè hai avute abbastanza.

Your Song
37.

Alan.

Ero il primo ad entrare in classe quando vi erano dei corsi extra e l'ultimo a uscirne di tutta quella marmaglia. Mi accomodavo sulla sedia di qualunque banco perché non mi interessava la posizione.
Bastava che la voce del professore giungesse chiara, mi piaceva assorbire saperi interessanti, sopratutto se si trattava della musica. Alle otto, prima che il trillo della campanella risuonasse in ogni dove per invitare la folla a liberare il patìo ognuno con diversa reazione, mi posizionavo, e nel mentre che attendevo che i miei compagni di condanna riempissero quel luogo, ripassavo l'argomento precedente, - quella mattina dovevo prendere parte ai corsi di economia aziendale - e quelle righe la sera precedente mi si erano incollate in testa grazie alla mia memoria di ferro.

Avevo quasi concluso con successo la seconda ripassata e stavo per cominciare una terza, quando una persona a molto familiare si prese la briga di disturbarmi.
«Allora Al hai finito?»
Presi un profondo respiro e alzai di poco il volto. La osservai con la coda dell'occhio venirmi incontro col suo fisico snello e camminare con lentezza per far ondeggiare le anche come una modella che ostentava il vestito che indossava verso gli scatti continui dei fotografi e dei giornalisti durante un'importante sfilata.
«Ho finito una seconda ripassata e sto per iniziare una terza.» le risposi riportando gli occhi sulle righe in nero.

Soli, in quella stanza, la presenza di lei cominciava a farmi salire l'ansia. Fingevo di essere tranquillo a rileggere per la millionesima volta la pagina del libro, ma in realtà il mio corpo era come la corda che un musicista tendeva con maestria per produrre la musica e che si muoveva oscillando a destra e a sinistra.
Ti prego, fa che non si sieda vicino a me. E come al solito successe il contrario. Lei scivolò piano sulla sedia vuota affianco e con la spalla urtò il mio braccio. Dischiusi piano la bocca leggendo fra le righe del tomo se qualche postilla trattasse delle tattiche di come mostrarsi indifferente di fronte alla ragazza più popolare della scuola, ma oltre a termini scientifici, foto in bianco e nero e piccoli titoli in grassetto per paragrafo non c'era nulla.
Lei si sistemò sulla sedia accavallando le gambe mentre io immaginavo di essere su un'altalena di tre metri.
Prima in alto fino a toccare con la punta del naso il cielo, librandosi come gli uccelli stretti alle corde, poi in basso di nuovo coi piedi per terra.
Come la vita che prima ti versava sulla testa acqua benedetta e poi decideva di maledirti, perché colpevole di qualcosa che in teoria non avevi commesso.
Devi solo mostrarti 'naturale'.
Mi dicevo scorrendo tutto lo sguardo dall'inizio fino alla fine del libro, mentre la sua ombra si protraeva verso la mia.
Non devi guardarla. È una di quelle streghe che ti incanta.
«Beh, facile a dirsi. Il problema è farlo, perché nessuno resiste a questa ragazza neanche il più fico della scuola e quindi neanche un nerd come me.»
La analizzavo come una cavia di laboratorio, imprimevo nella mente ogni gesto particolare per non dimenticarlo. Era seduta a pochi centimetri da me e nonostante tutto il cuore martellava forte nel petto per demolirmi la cassa toracica. Lo sentivo nelle orecchie, nella gola, in ogni parte del mio corpo e il bisogno di averla, stringerla, prendere il giusto possesso del suo corpo mi stava agguantando il cervello in una ferrea morsa.
Anche se la sua pelle, se mai fosse accaduto, non sarebbe stata mai completamente mia; è appurato ormai che i giovani non aspettano altro che sfogarsi come bestie in corpi a loro sconosciuti, sperimentare fin troppe cose a loro negate e lei di certo non aveva potuto non seguire la moda.
Era fin troppo bella. Il suo corpo perfetto attraeva come una calamita e nessun uomo con materia grigia avrebbe potuto sperare di resistere a quella dolce tentazione. Lei era pericolosa, era irresistibile e il sapore della sua pelle, delle sue labbra contro le mie, dei suoi dolci movimenti o dei suoi gemiti erano fin troppo invitanti per rifiutarli, neanche Alan Taylor Scott poteva, per quanto potesse essere ritenuto da tutti un lupo solitario.
«A cosa pensi occhi blu?» inclinò leggermente il capo e la lunga massa bionda si spostò sulle spalle. «Sei molto pensieroso.»
La mia mente si rifiutava di pensare ad altro che non fosse la taglia terza del suo reggiseno.
«Niente.» con l'indice girai alla pagina successiva facendo attenzione alla lettura.
«Dai, ti conosco occhi blu.» ghignò maliziosa stringendomi con una mano il braccio destro. «Cosa ti prende?» continuò appoggiando la sua testa nell'incavo tra collo e scapola. «Forse a furia di leggere ti si è atrofizzato il cervello, è pure normale, oppure sei preoccupato per la tua interrogazione e speri che ti vada bene.» ipotizzò, andando fuori strada.
Se avesse saputo a cosa in realtà stavo pensando mi avrebbe preso in giro per il resto delle nostre vite e se avesse scoperto che non mi ero mai concesso a nessuna donna prima di allora la mia reputazione sarebbe stata rovinata e tutta la questione circolare sulla bocca di tutto il liceo. Quindi avrei dovuto mentire ed era la cosa che più mi riusciva. Non era positiva, ma almeno mi permetteva di preservare la mia salute mentale e quel briciolo di dignità che ancora mi restava della mia stupida esistenza in questo mondo.
Strinsi le dita a pugno sul libro.
«La seconda.»
La sua risata rimbalzò ad eco come un flipper nei muri della stanza. «Ma va' Alan Scott Taylor, il genio di tutto il college che prende un voto negativo alle tante interrogazioni del trimestre? Non ci credo nemmeno se lo vedessi coi miei occhi.» sfilò la mano poggiandola sul pugno che aprii.
Voltai i miei occhi verso il suo viso, ed eccole sempre presenti, le sue belle fossette ai lati delle labbra e un bel sorriso smagliante ad ingigantirle.
I suoi occhi che si specchiavano nei miei sembravano due stelle di luce propria che si erano dimenticate l'orario di apparizione, mentre quel blu più profondo del mio somigliava al mare calmo nel cuore dell'estate.
Li stavo ammirando per una frazione di minuti tanto che credevo che il tempo avesse interrotto il suo corso, che le lancette non ruotassero e invece ero io che mi ero paralizzato.
Era come se nell'interno del mio corpo si fosse irradiata una scarica di energia che mi aveva attraversato dalla testa ai piedi mandandomi in cortocircuito.
Cercavo disperatamente di controllarmi per non rubare un suo bacio o consumare il suo corpo nel mio, perché non volevo che la mia prima relazione dopo il trauma dell'abbandono di Austin gravasse anche nei miei sentimenti e che questa si trasformasse in un flirt temporaneo. Volevo che fosse importante, speciale e che tutto avvenisse con una certa calma, senza affrettare ogni cosa.

Sei la mia chiave di violino (Vol.1) [IN REVISIONE]Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora