Capitolo 30

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[Pov's Josh]

Dopo il nostro arrivo Tania mi era praticamente atterrata fra le braccia, e non so se sia stato positivo la rocambolesca capriola nel mio petto, mentre le mie braccia trattenevano quel corpicino fragile come quello di una piuma. Non era molto pesante, era come avere un pupazzo di stoffa da stringere piano, mentre le sue mani si aggrappavano per paura di cadere per terra alla camicia.

Era una piccola imbranata, ma non mi ero azzardato a farglielo presente visto e considerato che ero riuscito ad ammansirla da poco come un esperto circense durante un numero di prestigio e non avrei mai voluto risvegliare quella sua furia omicida, quindi mi limitai amorevolmente a darle il nomignolo di principessa incapace, che lei digerì con mia grande sorpresa.

Durò poco, nemmeno il tempo di razionalizzare la presenza della sua folta chioma rosso fuoco, che mi solleticava la nuca o il respiro caldo e lento che mi carezzava la pelle, che dovetti strappare il mio spirito dalla morsa ferrea della mia fervida immaginazione.
Dinanzi ai miei occhi stupiti si delineava un posto inondato da una luce abbagliante, a poco a poco si mostravano altri dettagli che prima non erano risaltati: un tappeto rosso scarlatto su cui vi erano adagiati dei petali di rose.
Il luogo veniva inebriato in ogni dove da quel dolce profumo, la tranquilla brezza tipica della stagione primaverile faceva volteggiare nell'aria i soffioni che tanto divertivano i bambini.
L'atmosfera era quasi irreale non solo perché quel lunghissimo tappeto si estendeva fino a quell'orrizonte indistinguibile, ma anche per me che non riuscivo a capire nulla, nemmeno il significato di quella visione stucchevole, che per principio mi faceva un certo ribrezzo, perché detestavo le storie d'amore.

Io ero il protagonista della storia.

Guardai il vestito che mi ero trovato ad indossare con una smorfia. Non conoscevo la natura del tessuto né chi era l'artefice di quel tale disastro. A pensarci bene quello smoking era un disastro.
Era classico, troppo ordinato, rigorosamente nero. Il pantalone perfettamente stirato, nessuna piega lo rovinava, mi si modellava addosso come se fosse stato la mia taglia. La camicia bianca era intonata ad una giacca, tinta su tinta di nero seppia, sembrava dovessi partecipare a una manifestazione funebre non a un giorno festoso.

Mi sentivo inadatto. Non era il mio stile e maledivo il cretino che con tutta la buona volontà aveva voluto farlo confezionare sperando mi piacesse.

Chi era quel cretino?
Mi mangiavo i denti dalla rabbia mentre osservavo critico quello che mi faceva somigliare a un soldato chiuso nella sua armatura, davanti a uno specchio comparso improvvisamente. Più i minuti passavano, più aumentava olreemisura il desiderio di uccidere quel tipo e il suo stilista da quattro soldi che avevano montato il teatrino della vergogna.
Avrei voluto togliermelo di dosso, ma non era una buona idea visto che quello era l'unico capo con cui avrei sfilato come un babbeo in tutta la serata, affiancato dalla donna che per me faceva invidia persino alle regnanti del mondo.

Quello smoking era puro orrore.
Sembravo un pinguino che aveva sbagliato la strada per raggiungere il polo ed era finito casualmente nella sequenza di un film romantico. Non bastava quell'abbigliamento ma anche la soffocante cravatta, secondo voi?
Beh, nera. Tutto nero.
Prima un matrimonio, poi un'esequia, ovviamente la mia.

Allungai una mano verso il cappio che mi stringeva il collo e lo allentai con indice e medio.
Una forte voce mi richiamò, dietro alle mie spalle.
«No, Josh!» gridò quella voce riconoscibile. Mi girai a rallentatore, mentre inquadravo la sua figura allampanata, a braccia conserte, con la mascella irrigidita.
Si staccò dal cornicione, adesso riconoscevo uno spazio chiuso, recintato dalle mura confortevoli della mia camera di Boston e mi venne incontro preceduta dal rumore insistente dei tacchi, ovviamente neri e camosciati.
«Lo sai che la cravatta è un accessorio in.» mi disse, mentre mi rendeva un altro po' più impeccabile e presentabile.
Certo, ma si da il caso che non tutte le persone in questo mondo la pensano come te cara mamma, compreso io, che vorrei gettarla dalla finestra assieme al costosissimo smoking.
«Ti sta benissimo figliolo.» esclamò facendo con le dita una specie di inquadratura. «Non per vantarmi, ma ho fatto un ottimo lavoro con tuo padre.» e mi strizzò una gote.
«Mamma, spero tu stia scherzando! Non sono altro che un pinguino che ha sbagliato indirizzo, guardami bene.» le dissi innervosito passandomi una mano tra i capelli corti e portati dietro con il gel. Iniziai ad arruffarli per rovinare quel capolavoro che aveva orchestrato il parrucchiere che mamma aveva deciso di ingaggiare per quel giorno tanto speciale, e non mi dispiaceva affatto, visto che avrei preferito un look più naturale.

Sei la mia chiave di violino (Vol.1) [IN REVISIONE]Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora