Capitolo 25

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[Pov's Allison]

Nella mente di Allison era scoppiata un'imprecazione seguita da una bestemmia di quelle forti.

Il mio sguardo sorpreso era immobile. Apatico, niente che facesse prevedere una sincera gioia esplosa per il tipo alla porta.
Anzi era come ricevere una coltellata in mezzo al petto. Il flusso restava bloccato, non usciva copiosamente fuori, saliva velocemente e mi avvinghiava il cervello in una morsa dolorosa.

Credevo di aver voltato la pagina del mio libro trascritto male, ma mi ero sbagliata perché anche se non me lo aspettavo la sua presenza era qui a tormentarmi.

Perché era tornato? Cosa voleva ancora da una povera malata terminale oncologica?

Sbattermi in faccia la sua dannata spensieratezza o quanto si fosse sentito fortunato a conoscere quella modella newyorchese che aveva sposato? Dimostrarmi che non era lontanamente misurabile quello che avvertiva, a confronto dei sentimenti che avevo, col matrimonio, accettato di manifestare pur essendo stata tradita. Avevo abbandonato tutto per lui. Lui niente per me.
Avevo lasciato gli studi di medicina all'università, mi ero lasciata convincere che non sarebbero serviti, che lui doveva provvedere al mio bene. Al terzo anno lasciai e mi ritrovai senza lavoro, succube di un marito, in una casa piccola e sudicia.
I miei genitori tagliarono i rapporti con me da quando seppero che avevo rinunciato al futuro roseo in un ospedale per abbassarmi a fare la badante in una casa per anziani.
Non li vidi più, volevo chiamarli ma una vicina mi informò che si erano trasferiti nel New Jersey così vi rinunciai.

Alla nascita di Alan mia madre Beth mi inviò un bigliettino di auguri, ma per colpa di mio marito Austin di cui non si erano mai fidati a fondo, non ebbero mai il piacere di conoscere il loro primo nipote.

Fu molto difficile crescere Alan senza avere i comuni insegnamenti di mia madre.

Ero giovane, avevo solo una ventina d'anni e zero esperienza.
Non avevo soldi sufficienti per trovare una tata che si occupasse del piccolo mentre ero fuori a rispettare i rigidi orari del Sant'Elene, e Austin per proteggere l'incolumità del neonato mi costrinse ad abbandonare quell'unica forma di sostentamento individuale per concentrarmi solamente sul benessere di Alan e fare quindi mamma, casalinga e moglie a tempo pieno senza avere altro al di fuori di quello.
Alan impegnava molto del mio tempo. Non sapevo come farlo stare bene, e quando piangeva mi condannavo di essere una cattiva madre. Alla fine quel dolce angioletto mi conquistò e la simbiosi tra madre e figlio fece la sua parte. Alan era un bellissimo neonato, e ad ogni suo capriccio, accorrevo per viziarlo.
Stavo ore ed ore, dopo una pulizia maniecale della casa, seduta sulla sedia a dondolo per guardarlo dormire e sorridere nella culla, e non riuscivo a distaccarmene perché ne ero innamorata dal primo momento in cui la levatrice me lo appoggiò sul petto perché il nascituro potesse riconoscere il battito materno.
Austin voleva molto bene ad Alan, i due erano due gocce d'acqua, stessi occhi, stessi capelli, stesso charme nel far cadere ai propri piedi ogni donna che gli capitasse a tiro. Sembravano fratelli.

La mia famiglia era perfetta.
Mi sentivo fortunata, avevo tutto, non desideravo altro che continuare così, ma ciò si complicò quando una situazione incrinò il rapporto matrimoniale.

Lo ricordavo. Era una cicatrice che bruciava ancora, dopo molti anni dal tradimento.
La retina si riempiva di quelle insulse immagini come se fosse accaduto ieri. Prima o poi tutte le bugie venivano scoperte e la verità saliva a galla come un forziere nascosto nell'abisso di un oceano.

Il giorno in cui le speranze caddero e vennero tolti i paraocchi che guardarono a quell'unica direzione consentita senza dare importanza alle altre laterali.
Il maledetto giorno che il mio matrimonio con Austin si concluse nonostante quel tempo inutile speso a riparlo con inutili cataste di cerotti. Quando la segretaria ruppe il tacito accordo, confessandomi di come Austin trascorresse il tempo inutilizzato quando non doveva presiedere a qualche riunione dimostrativa. Credevo stesse infangando la reputazione di mio marito quella pettegola cialtrona, ma quando rimasi sola iniziai a riflettere sulle circostanze e unì piano tutti i vari tasselli del puzzle. Tutto divenne chiaro e tangibile, le parole della pettegola rieccheggianti nella mia mente non furono più insulse ma veritiere.

Sei la mia chiave di violino (Vol.1) [IN REVISIONE]Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora