DON'T CRY I LOVE YOU

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Pov's Fabio

Guardò per un secondo il telefono che  si era illuminato e i suoi occhi si spensero, incupendosi in modo terrificante.
Lei singhiozzava a dirotto tra le mie braccia, ed ogni lacrima che le percorreva il volto era come una pugnalata al petto, il mio petto.
Aveva la testa appoggiata un po' più giù della mia spalla sinistra, in corrispondenza del mio cuore ed io guardavo le sue lacrime scendere ad una ad una dai suoi occhi e percorrere velocemente la cavità del naso, fino a scivolare sulle sue guance.
Che amarezza vedere una lacrima proprio lì, dove di solito vedevo nascere una fossetta, quando sorrideva, quando il suo volto esplodeva nel sorriso più bello che avessi mai visto. Vedevo le lacrime poi scendere sulle sue labbra perfette, percorrere la curva del mento per poi staccarsi e cadere, proprio su di me. Pian piano le sentivo entrare, ad una ad una, dentro di me, all'altezza del petto e pian piano le sentivo accarezzarmi il cuore, o graffiarmelo, questo non riuscii a capirlo.
Vederla piangere mi faceva male, ma non abbastanza da lasciarla lì, sola, persa nel suo stesso pianto. Ero in ginocchio, lì dietro di lei, il tocco del pavimento sulla mia gamba nuda era gelido, si, ma mai come il freddo che c'avevo dentro in quel momento.
Conoscevo Marta da due settimane e in quelle due settimane era riuscita già ad entrare a pieno nella mia vita, vivevamo ormai in simbiosi, ce l'avevo dentro, me la portavo con me, nelle ossa. Vivevo dei suoi respiri, dei suoi sguardi, dei suoi sorrisi, ormai ne ero stranamente, ma perdutamente dipendente e forse proprio questa, la mia dipendenza nei suoi confronti, l'aveva salvata, perché stavolta non poteva farlo da sola.
Marta si allontanò come sempre da me, con la scusa di andare in bagno, giusto il tempo di sciacquarsi la faccia, di staccare un po' gli occhi da quello schermo del cellulare ormai monotono.
Ma stavolta stranamente  non tornava da più di mezz'ora...Anch'io con una banale scusa mi alzai, cominciai a temere che le fosse successo qualcosa, percorsi il corridoio dell'hotel ed ogni passo sembrava più pesante del precedente, come se stessi camminando nelle sabbie mobili. Avvicinai con timidezza l'orecchio destro alla porta del bagno e rimasi sorpreso, in modo negativo, il suono era debole, flebile, ma chiaro. Erano singhiozzi, i singhiozzi di chi stava piangendo. Aprii di scatto la porta, senza pensarci su, senza pensare al fatto che quello fosse il bagno delle donne. Ancora una volta fui sorpreso da ciò che vidi e ancora una volta in senso negativo, Marta era distesa a terra, tra la porta e il lavandino, rannicchiata su se stessa, mentre piangeva in posizione fetale, come un bambino.Si girò su se stessa.
"Fabio vai via!" Esclamò tra le lacrime.
Mi avvicinai, come se non avessi sentito le sue parole.
"Ho detto che devi andare."
Mi inginocchiai, dietro di lei e la strinsi a me, forte.
Lei si lasciò andare, il suo pianto per qualche secondo divenne più forte e poi piano si fermò, sotto le mie carezze. La sentivo ansimare, sentivo la sua gabbia toracica allargarsi e poi restringersi ad ogni respiro, sentivo le sue costole incastrarsi con le mie, come se non dovessi andar più via. Le asciugai le lacrime con un dito e solo allora mi resi conto di una conto di che bei occhi aveva.
Guardarla negli occhi...quella infondo era una questione di coraggio, sapevo che se l'avessi guardata lì, nei suoi occhi di lince, m'avrebbe fatto suo al primo sguardo. Ed io non volevo, sapevo di non essere abbastanza.
-"Cos'è successo ?"
Le chiesi.
Marta rimase in silenzio.
-"Oh allora dimmi che t'e' preso..."Aggiunsi.
-"Nulla sono solo stanca, sono stata al Tropical e ho bevuto un po'..."
-"Sei stanca? E allora perché piangi? Dai amore non farti pregare, parla."
Stavolta risposi con rabbia, in effetti ero incazzato, davvero. Avevo paura che stesse piangendo per colpa di qualcuno e lei non lo meritava, non lo meritava affatto. Nessuno può permettersi di spegnere un sorriso così bello, neanche io.
L'eye-liner nero si sciolse, attaccandosi sotto le mie dita, tra quelle lacrime, tra le mie braccia, andò via tutta la sua sicurezza. Sembrava una donna già vissuta, ma infondo aveva solo quattordic'anni , e soffriva, e amava, come una quattordicenne qualunque o forse un po' di più.
Nessuno la conosceva veramente: lei non veniva letta dentro...Lei dentro aveva l'abisso e la gente intorno soffriva di vertigini.
Leggerla sarebbe stato come buttarsi dal decimo piano, anche se lei avrebbe fatto da paracadute.
Era come se ogni tanto il mondo attorno a lei si spegnesse.
Non c'era più il frastornante rumore della gente.
Non c'erano più le macchine in strada, né il soffiare del vento.
Le porte non sbattevano più, e le urla al piano di sotto si calmavano.
Non c'era più nulla che potesse distrarla da se stessa.
C'erano solo lei e i suoi assordanti pensieri.
Saltavano da un'idea all'altra, da un ricordo ad un altro.
Tutto in testa le si mischiava, si contorceva, andava avanti e tornava indietro. E di nuovo. Il resto le sembrava estremamente distante, ma dannatamente vicino.
Così vicino da sembrare finto, o fin troppo reale: non riusciva a capirlo.
Non riusciva mai a capirsi, lei.
Finiva sempre per restare intrappolata in se stessa per ore, fino a quando qualcosa, forse l'istinto di sopravvivenza, non la spingeva a svegliarsi.
E bum...Di nuovo rumore.
-"Perché piangi?"le ripetei.
-"No, non è niente. Anzi guarda non sto neanche piangendo. Ho solo qualcosa nell'occhio. Un ciglio forse o qualcosa di più grande.. Ma non è nulla, davvero."
-"Ehi. Riconosco una persona quando piange."
-"Ti sbagli."
-"Amore perché piangi?"
-"Io.. non lo so. Davvero, non lo so, queste lacrime sono venute fuori all'improvviso, non lo so, e non si vogliono fermare, non si fermano. Ma io non voglio piangere. Non voglio...
-"Sai? Mio papà una volta mi ha detto che piangere senza alcun motivo significa avere troppo per cui piangere. Significa essersi trattenuti troppo a lungo. Significa aver tenuto dentro un oceano di lacrime che prima o poi dovevano pur uscire. Mi ha anche detto che siamo come dei grandi contenitori che piano piano si riempiono, e sopportano, sopportano, sopportano, ma come sai, a tutto c'è un limite. Anche i contenitori forti e grandi hanno un orlo e arrivati all'orlo non ce la fanno più a tenersi dentro tutto. Scoppiano.
Piangi, piangi tutte le lacrime che non hai pianto fin'ora. Sei stata forte, ma ora dimentica tutto e butta fuori il dolore, io sono qui."
Per un attimo prese a parlare ma poi tacque e quel suo silenzio divenne pesante, fin troppo.
Mi strinse forte e poi se ne andò via correndo e lasciandomi solo con i miei pensieri.
"Chi gli aveva fatto del male?Perché il suo sguardo era deluso? Perché se n'è andata?".
Avevo tra le mani un cubo di Rubik, ero ad un passo dal completare una faccia eppure mancava, uno, uno solo, un unico cubetto dello stesso colore, che mi costrinse a ricominciare d'accapo.
"Come si salva qualcuno che non vuole essere salvato?"
Ancora non lo sapevo, ci sarei riuscito però...parola di Fabio.

SEI LA MIA DISTRUZIONEDove le storie prendono vita. Scoprilo ora