Capitolo 19.

8K 426 128
                                    

Vero è ciò che si ricorda


Mamma ha sempre ritenuto che l'educazione magica glissi su alcuni aspetti fondamentali della cultura occidentale che invece, Maghi o Babbani che siano, tutti dovrebbero conoscere. Così, un'estate di parecchi anni fa, si era messa in testa di insegnarmi la filosofia. All'inizio mi divertivo da matti ad ascoltare le boiate che i Greci sparavano con così profonda convinzione per spiegare il mondo - una volta avevo addirittura tentato di incantare una tartaruga con la bacchetta di papà per vedere se Zenone aveva ragione - ma com'era prevedibile dopo un po' avevo cominciato a stufarmi. Quando eravamo arrivate ai Sofisti, quindi, avevo accolto il loro scetticismo sulla possibilità di trovare una verità assoluta come manna da cielo e nelle loro teorie avevo trovato un'ottimo pretesto per smettere di perdere tempo con la filosofia.

Non avrei mai pensato che, anni dopo, avrei potuto trovare dei motivi più validi per credere alle loro parole. Eppure quei maledetti avevano ragione da vendere: cosa diavolo è la verità, se quando la sai non puoi nemmeno dirla agli altri?

***

La mattina dopo volevo morire.

La lenta tortura dei ricordi di quella notte che riaffioravano pigri ma inesorabili dalla nebbia assonnata della mia mente, lasciando sempre abbastanza tempo tra l'uno e l'altro perché potessi angosciarmi all'idea di cos'altro fosse successo, ma mai abbastanza perché potessi prepararmi psicologicamente a quello che avrei scoperto, mi fece desiderare di aver baciato un Dissennatore al posto di Scorpius. Almeno i miei problemi sentimentali sarebbero finiti lì.

"Almeno adesso non avrei una paura fottuta che non gli sia piaciuto e ricordi tutto, o che gli sia piaciuto e non ricordi un emerito cavolo. Delle due l'una..."

Premetti più forte il cuscino sulla fronte, tentando di ricacciare nell'oblio dell'alcool e dei sogni quei ricordi che continuavano a sfuggire alle barriere della mia memoria, come chicchi di riso da un colino troppo largo. Ma più mi sforzavo di non ricordare, più quelle immagini apparivano nitide contro lo schermo nero delle mie palpebre, come a volersi prendere gioco della mia instabile mente di adolescente psicolabile.

Respiri. Respiri rapidi, corti, quasi frettolosi. I respiri di chi non ha tempo da perdere per una cosa futile come respirare.

Respiri al sapore di vodka e baci. Respiri al sapore di Lui.

Era tutto inutile, dannazione! Più mi sforzavo di non pensarci, più il mio cervello (con la complicità di Calvin, sospettavo) mi propinava delle vomitevoli scenette da film romantico in cui il mio ruolo sembrava limitarsi a quello della classica femminuccia tutta zucchero e sospiri in balia della figaggine del suo uomo.

A quel punto potevo solo sperare di non aver davvero pensato delle cose del genere, mentre lo baciavo. E forse avrei anche fatto bene a pregare di non averle dette ad alta voce, considerando la quantità di cocktail che avevo ingurgitato.

Lacrime. Il loro sapore salato sulle labbra, che cancella il suo.

E le odi per averlo fatto, ma questo lo pensi dopo.

E ti odi per aver lasciato che lo facessero, ma anche questo ti viene in mente solo dopo.

Troppo dopo.

Non potevo credere di essermi davvero messa a piagnucolare davanti a lui, come una bambina dell'asilo a cui hanno rubato la bambola. Forse, in fondo, lo avevo solo sognato... in fin dei conti ero ubriaca, come potevo essere certa che non fosse stato tutto un prodotto della mia mente obnubilata dall'alcool? Sì, doveva essere così, non c'erano altre spiegazioni plausibili.

Perchè sul campanello di casa mia c'è scritto Weasley-Malfoy?!Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora