Capitolo 24.

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Sbagliare fa schifo, rendersene conto anche di più.

Aver torto è sempre una gran brutta cosa, per una serie di motivi che vanno dal Troll in Storia della Magia, quando l'argomento su cui hai torto sono le Guerre dei Giganti, alle brucianti ferite all'orgoglio che ciò generalmente procura (non il Troll in Storia, naturalmente: mai stato un problema quello). Ma, tutto sommato, non è nulla a cui non si possa sopravvivere.

Quello che è veramente distruttivo è il non riuscire ad ammettere di avere torto: si può chiudere un occhio sugli errori degli altri (cosa che la gente dovrebbe imparare a fare, ogni tanto), ma non si possono chiudere entrambi gli occhi sulle proprie (cosa che, al contrario, si tende a fare spesso e volentieri). Non ho idea del perché mi venga in mente questa cosa adesso, né so perché riesco a ricordare queste idiozie mentre non sono capace di mandare a memoria una sola pagina del Manuale di Trasfigurazione Avanzata, ma devo aver letto da qualche parte che secondo Sant'Agostino porsi dei dubbi è l'unica assicurazione che una persona può avere della propria esistenza. Ecco, credo che intendesse proprio questo: se uno non è più capace di mettere in dubbio se stesso e le proprie azioni, se non è più capace di riconoscere di aver sbagliato e di cambiare, allora tanto vale che non esista, perché la sua vita non ha senso.

Ma d'altronde i filosofi sparano sempre un sacco di cazzate, e quasi nessuno li ascolta.

***

Giovedì passai una costruttiva mattina seduta alla scrivania, di fronte al libro di Trasfigurazione aperto sull'indice dei capitoli, contando e ricontando mentalmente le pagine che avrei dovuto studiare (troppe), dividendole per i giorni a mia disposizione (decisamente troppo pochi) e concludendone che non avrei mai passato quello stramaledetto esame. Dopo un primo calcolo, dal quale risultò che mi restavano la miseria di diciassette giorni per studiare cinquecentotrentasette pagine (il che significava più di trentuno pagine al giorno), decisi di cambiare strategia e sottrassi alle pagine da studiare quelle che riportavano gli esercizi e gli schemi riassuntivi alla fine di ogni capitolo; il risultato - quattrocentottantasei pagine - fu comunque alquanto sconfortante. La mossa successiva fu quella di scartare anche le pagine contenenti dossier di approfondimento, accorgimento che mi permise di far scendere il numero di pagine da studiare alla non meno desolante cifra di quattrocentocinquantanove. A quel punto optai per un ulteriore affinamento della mia tattica di conteggio e passai a segnare tutte le pagine contenenti immagini, che decisi dovessero valere solo come mezza pagina: il risultato a cui pervenni in quel modo fu comunque una quantità di pagine che in diciassette giorni sarei forse appena riuscita a contare, figurarsi a studiare. Fu in quel momento che mi resi conto di dover cambiare radicalmente il mio approccio alla faccenda se volevo venirne fuori, e dopo una lunga riflessione risolsi di contare solo le pagine dei riassunti di fine capitolo - in fondo potevo benissimo studiare da quelli, no?

Sorrisi, complimentandomi con me stessa per la mia genialità: ero riuscita a ridurre cinquecentotrentasette pagine (diciamo pure cinquecentoquarantuno, dopotutto quelle due pagine bianche a fine libro erano pur sempre delle pagine) alla bellezza di trentaquattro. In pratica, era come se avessi studiato cinquecentosette pagine - ragionai - quindi per quel giorno non c'era bisogno che studiassi altro: avevo già fatto un lavoro eccellente. Mi stiracchiai, soddisfatta, e chiusi il libro.

"Cinquecentosette pagine, però... non si può certo dire che batto la fiacca."

Mi si stava proprio affacciando alla mente l'idea di scrivere tutti i numeri da uno a cinquecentoquarantuno su un foglio e barrarne cinquecentosette, uno per uno, quando qualcuno bussò alla porta. Sbuffai e, prima di aprire, sbirciai dal buco della serratura per accertarmi che non fosse nessuno di pericoloso - né per me, come mia madre, né per la sua stessa salute psicofisica, come nel caso dell'individuo, che, venendo a bussare alla porta di camera mia dopo quello che aveva fatto, mi avrebbe dato la prova definitiva del fatto che l'istinto di autoconservazione dei Serpeverde era solo una leggenda metropolitana. Con il senno di poi non so fino a che punto quella di sbirciare da buco della serratura fu una buona idea, perché l'unica coda che riuscii a vedere fu la parte superiore dei pantaloni di Scorpius, sul davanti. Il che, come è logico supporre, non giovò particolarmente alle mie facoltà mentali.

Perchè sul campanello di casa mia c'è scritto Weasley-Malfoy?!Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora