Sogni divenuti realtà

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Presi le mie cose e le infilai in borsa, presi la mia giacca di pelle marrone, la stinsi, presi la borsa, e me ne andai.
Non capivo perché Gabe si stava comportando così. Capivo che aveva "paura" perché non sarebbe durata; ma addirittura questo?
Uscii dal edificio grigio e grottesco e me lo lasciai alle spalle, per sempre.
Camminai a passo svelto e deciso quando pensai;
Dove cazzo è il mio motorino?
Non mi ricordavo l' ultima volta dove lo avevo messo. L' ultima volta che ero uscita risaliva a quando ero tornata a casa per avvisare i miei genitori, (anzi, per mentire ai miei genitori); poi ripensai a quando avevo riaccompagnato Gabe a casa con il motorino, dopo essere stati al ospedale.
Quindi si sarebbe dovuto trovare nel parcheggio, proprio di fronte a quel edificio grigio e grottesco che mi ero lasciata alle spalle, ma non c' era.
Perché non c' è!
Mi girai, e cercai meglio tra i parcheggi, ma niente.
Gli occhi mi bruciavano per il contatto con il sole.
Si aprii il portone dell' edificio.
Era Gabe.
"Helin, ragiona!
Su torna dentro dai. Mi dispiace, non volevo.
Non intendevo... Torna dentro, forza!" Urlò.
Io invece gli diedi le spalle e iniziai a camminare di tutta fretta.
Non mi avrebbe rincorso, e mi avrebbe lasciato stare.
"Helin, attenta! Ritorna indietro! Non sei al s...i..."
Mi voltai di scatto. Vedevo, in lontananza, la bocca di Gabe coperta da delle mani di un uomo, con un passamontagna.
Gabe gli tirò gomitate sullo stomaco, pugni sulle vene principali del braccio e infine gli diede una testata con la nuca. L' uomo si contorse dal dolore; quindi vennero a soccorrerlo.
Aiutarono a bloccare Gabe.
Io non avevo armi con me, e neanche lui. Non aveva neanche fatto in tempo a rimettersi la maglietta...
Rimasi bloccata con i piedi sul asfalto.
Non potevo.
Non potevo fare niente.
Non potevo lasciarlo morire, ma non potevo neanche salvarlo.

Uno di loro (che chiamerò A) lo prese per il braccio desto.
B lo prese per il braccio sinistro.
C gli diede dei calci alle gambe fino a quando Gabe decise di smettere di agitarle in aria.
E infine, D , il tipo che aveva avuto bisogno di soccorsi, si occupò di prenderlo a pugni.
Sulla masciella, sugli occhi, sullo stomaco...
Avanzai finalmente di un passo, e poi un altro, e un altro ancora, fino a correre verso Gabe.
D, che mi stava di spalle, si levò il passamontagna. E allora lo riconobbi. Era... Lui.
Anche se mi stava di spalle avevo capito perfettamente chi era.
Rimasi impietrita a fissare quella scena.
Delle persone tutte intorno, senza vie d' uscita, vicino alla morte per quel uomo.
Era come nel mio sogno, solo che nella realtà io non ero la protagonista della storia; ero la spettatrice.

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