Non è lui, ma è più semplice

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Non era solo gelosia, era paura.

Paura di non essere abbastanza.

Paura che quella parte di me attratta da Leo potesse allontanarlo davvero.

Ero combattuta.

Volevo rassicurarlo, ma anche proteggermi.

«Non è così semplice, Jamie,» risposi piano, con la voce rotta dall'emozione.

«Non è che voglio qualcun altro. È solo... diverso. Con Leo non devo lottare, non devo cercare di capire cosa significhiamo per l'altro. È più semplice.»

Jamie strinse le dita attorno alle mie, come per ancorarmi a sé.

«Ma io non sono semplice, Ellie. E non voglio esserlo.»

Lo guardai negli occhi, cercando quel ragazzo tormentato che avevo imparato a conoscere e amare.

«Io non voglio che tu cambi,» dissi con fermezza. «Solo voglio capire se possiamo trovare un modo per stare insieme, senza che tutto sia sempre una battaglia.»

Jamie si alzò lentamente, mi guardò con uno sguardo intenso, e poi fece un passo indietro, come se stesse lottando con qualcosa dentro di sé.

«Forse,» disse, «forse non è ancora il momento.»

Sentii un groppo in gola, ma non lasciai trasparire nulla.

Sapevo che quella distanza era solo temporanea, una fase da attraversare.

Ma mentre lui si allontanava verso la cucina, sentii la pressione di quella scelta che si faceva sempre più urgente.

Nei giorni seguenti, la mia mente continuava a oscillare tra i due poli.

Leo era lì, sempre gentile, disponibile, e con una sicurezza che faceva sembrare tutto facile.

Jamie invece era quel fuoco che non potevo spegnere, anche quando bruciava troppo forte.

Una sera, mentre studiavo nella biblioteca del workshop, sentii il suo sguardo posarsi su di me.

Mi voltai e lo vidi lì, a pochi metri, con un sorriso timido e gli occhi pieni di quella dolcezza complicata che solo lui sapeva mostrarmi.

Non disse nulla, ma quel semplice gesto fece tremare ogni mia certezza.

Perché alla fine, nonostante tutto, era sempre lui.

Quella notte feci fatica a dormire.

Il letto dell'appartamento temporaneo sembrava troppo rigido, le coperte troppo calde, l'aria della stanza troppo densa. Ma non era nulla di tutto questo. Era Jamie. Era Leo. Era me, e le parti di me che non riuscivo a far convivere.

Mi girai sul fianco, guardando il vuoto, e pensai alla cena con Leo.

Era stato tutto così lineare. I suoi occhi chiari mi seguivano con interesse, ma senza possesso. Ogni sua parola era una carezza razionale, mai un'esca. Si rideva con lui, si parlava con facilità. Quando il cameriere ci aveva portato il vino, avevamo brindato senza troppa enfasi. "Al talento che sa ascoltare," aveva detto lui. Mi aveva fatto arrossire. Non era un complimento da poco.

Eppure, nel momento stesso in cui avevo sorriso, avevo sentito un vuoto dentro.

Perché Leo non mi faceva tremare le mani.

Non mi faceva dimenticare le frasi a metà.

Non mi guardava come se il mondo si potesse spezzare con un solo nostro bacio.

Ma era semplice. E io ero stanca di complicazioni.

Il giorno dopo, durante una pausa del workshop, uscii a prendere un caffè da sola. Leo mi raggiunse fuori, tenendo due bicchieri in mano. Me ne porse uno, senza dire niente.

«Grazie,» dissi.

Ci sedemmo sul muretto basso davanti al centro conferenze. Il sole filtrava tra gli alberi e per un attimo la giornata sembrò leggera.

«Hai un talento naturale per far sentire le persone viste,» mi disse, guardandomi. «Ma ho l'impressione che tu abbia sempre un piede fuori da tutto.»

Mi voltai lentamente verso di lui.

«Forse perché ho paura di restare troppo a lungo nello stesso posto,» risposi.

«O con la stessa persona?» aggiunse.

Rimasi in silenzio. Non confermai. Non negai.

Leo non insistette. Bevve un sorso del suo caffè, poi sorrise.

«Sai, a volte penso che le cose semplici non siano banali. Sono solo... meno spaventose.»

Annuii. Aveva ragione. Ma la verità era che ciò che mi spaventava davvero... era quanto Jamie mi faceva sentire viva.

Quella sera tornai a casa prima del solito. Jamie era in cucina, con una felpa grigia e i capelli un po' arruffati. Stava tagliando delle verdure per cena, il coltello che faceva un suono regolare contro il tagliere.

Quando mi vide, sollevò appena lo sguardo.

«Hai mangiato?» chiese.

«No. Leo mi ha portato un caffè, ma non ho fame.»

Un piccolo silenzio. Un taglio più secco.

Poi lui lasciò il coltello, si appoggiò al lavandino e mi guardò.

«Ti piace?»

Non lo disse con rabbia. Lo disse con un tono che sembrava stanco, come se avesse deciso di non lottare più.

«Non lo so,» risposi con onestà.

«Ma è più facile. E io lo vedo. Vedo che con lui sorridi in un modo che con me non riesci più a fare.»

Mi avvicinai lentamente. Il cuore mi batteva forte, non per Leo, non per la cena, ma per quel modo in cui Jamie mi guardava adesso. Con resa.

«Con te,» dissi, «non sorrido allo stesso modo. Ma piango in un modo che con nessun altro potrei.»

Lui chiuse gli occhi per un secondo. Poi fece un passo verso di me.

«Sai cosa mi spaventa?» mormorò. «Che prima o poi sceglierai la pace. E io sono una guerra.»

Lo guardai a lungo.

«Ma è con te che ho imparato a combattere per qualcosa.»

Quella notte, mentre lui dormiva sul divano — ostinato a non entrare nel letto finché non fossimo stati "allineati" — io restai sveglia a pensare.

Leo era una porta aperta.

Jamie era una stanza piena di specchi.

E io avevo paura di guardarmi troppo a lungo.

Ma sapevo già, in fondo al cuore, chi mi faceva sentire intera anche quando ero a pezzi.

Between The LinesWhere stories live. Discover now