17.

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Mi chiesi per l'ennesima volta da quanto tempo fossi chiuso in quella stanza bianca. Non ne avevo idea.
Cercavo di contare i secondi che passavano, ma finivo per distrarmi e trovarmi costretto a ricominciare da capo.
Per quanto ne sapevo, poteva essere passata anche una settimana.
Avevo le membra intorpidite, ogni parte del corpo mi doleva, ed iniziavo a sentire le palpebre abbassarsi.
Spalancai gli occhi di scatto quando mi resi conto che stavo per addormentarmi. Non volevo dormire. Non dovevo dormire. Il sonno avrebbe portato con sé dei sogni, e non volevo averne per un bel po'. Mi avrebbero mostrato Nico, Katie, o forse anche Travis, ma sapevo che non era il rischio di vedere loro a spaventarmi tanto da non volermi abbandonare al sonno.
Avevo paura di vedere lei.
Avevo paura che mi avrebbe cercato anche lì.
Avevo paura che se mi avesse fatto qualcosa, poi si sarebbe potuto ripercuotere anche nella vita reale.
Avevo paura di lei.
Socchiusi gli occhi. Improvvisamente, la stanza sembrava più luminosa. Ricominciai a contare.
Uno, due, tre, quattro, cinque.
La luce si fece via via più intensa.
Sei, sette, otto, nove, dieci.
Adesso era accecante.
Undici, dodici, tredici, quattordici, quindici.
Chiusi gli occhi.
Sedici, diciassette, diciotto... dove ero arrivato? Avevo perso il conto. Venti, forse?
Venti.
Mi addormentai.
I miei sogni erano confusi, un ammasso di colori e figure sfocate e distorte. Mi sentii come catapultato nella mente di un pazzo.
Forse stavo impazzendo davvero. Forse l'Erinne mi stava davvero facendo uscire di testa.
Sussultando, mi svegliai. Mi ritrovai sdraiato di pancia, con le unghie conficcate nei palmi.
Lentamente, aprii le mani, osservando le mezzalune rosse con stupore. Sanguinavo. E me ne rallegravo. Stavo davvero uscendo di testa. Non avevo più dubbi.
All'improvviso, scoppiai in lacrime. Non sapevo neanch'io bene perché. Forse per il dolore. Ma, si sa, quando si inizia a piangere per qualcosa si finisce col piangere per tutto.
Piangevo per Travis, per Nico, per Katie, e, soprattutto, per Bianca. La persona per cui avevo versato sudore e sangue mi stava ripagando con ulteriore sofferenza. Quasi non riuscivo a crederci.
"Perché mi fai questo?" gridai sferrando un pugno al pavimento. "Perché? Perché merito tutto questo?"
Avevo ucciso qualcuno, aveva detto l'Erinne. Eppure io non ricordavo di averlo fatto.
Poi, lentamente, un'immagine iniziò a farsi strada nella mia mente. La riconobbi all'istante. Era il mio sogno. Il sogno che avevo fatto due anni prima, e che era costato davvero la vita a qualcuno.
L'avevo rimosso totalmente, eppure ricordavo ancora le parole alla perfezione. 'Qualunque cosa accadrà, sarà stata colpa tua'.
E di nuovo, quell'oscura consapevolezza riaffiorò in me. Avevo ucciso io Bianca Di Angelo. E lei me la stava facendo pagare. Mi stava solo restituendo il favore.
Ma invece di essere vicino a me a cercare di impedire tutto, lei era lontana. Probabilmente stava anche ridendo di me, della mia ingenuità.
"Ti odio!" urlai, rendendomi conto per la prima volta di quanto fosse vero.
Odiavo Bianca Di Angelo. L'avevo ammesso ad alta voce, e lentamente la consapevolezza si stava facendo strada dentro di me. Tutto quel folle viaggio era avvenuto per colpa sua, tutto il male che avevo subito mi era stato inflitto per colpa sua.
"Lasciami stare..." sussurrai prima di chiudere gli occhi e sprofondare nel sonno.

Nel mio sogno, tutto sembrava disegnato su una tela lasciata sotto la pioggia, con i colori che colavano, rendendo i volti inquietanti, come cera di candela sciolta.
La gente intorno a me correva, con smorfie dipinte sui propri visi. Tutti correvano. C'era troppo movimento.
In breve, mi ritrovai a terra con le mani sulle orecchie, cercando di ignorare ciò che si trovava intorno a me.
Qualcuno mi posò una mano sulla spalla. "Connor... Connor ci sei?" Era una voce femminile, dolce. "Sei ancora vivo?" Mi scosse con violenza, tanto che mi svegliai.

La prima cosa che vidi fu un fiore. Un fiore giallo, brillante, che sembrava possedere una luminosità propria.
Poi due voci si sovrapposero, talmente forti da farmi sentire male.
"Ti senti bene?"
"Sei tutto intero?"
"Perché sanguini?"
"Hai pianto?"
E tante altre domande di cui non colsi una sola parola.
Sussurrai flebilmente un: "Silenzio" cui nessuno fece minimamente caso.
Il fiore giallo scomparve dalla mia visuale e, al suo posto, un'indefinita macchia fece la sua comparsa. Sbattendo più volte le palpebre, riconobbi un viso. Era Katie.
"Katie?!" esclamai. Improvvisamente, riacquistai tutte le forze che mi erano mancate. Mi tirai a sedere.
"Te l'avevo detto che non gli avrebbe fatto bene vedere te come prima cosa" disse una voce sulla mia destra. Nico.
Biascicai qualcosa di incomprensibile anche alle mie stesse orecchie, prima di riuscire a dire una frase di senso compiuto. "Cosa ci fate qui?" chiesi.
"Siamo venuti a salvarti, idiota" rispose Katie dandomi uno schiaffo piuttosto violento per essere la persona che ha appena detto di avermi voluto salvare.
Mi massaggiai la guancia. "Ehi! E questo per cosa è?"
"Per essere un emerito cretino, ecco perché" bofonchiò Katie. "E adesso, in piedi. Dobbiamo andarecene prima che torni quella brutta vecchia."
Nico e Katie mi tirarono in piedi, per poi condurmi fuori dalla stanza attraverso una delle pareti che avevano sfondato.
Fuori c'era un lungo tunnel scuro, la cui unica fonte di luce proveniva dalla stanza bianca.
"Come avete fatto a trovarmi?" chiesi, mentre arrancavo praticamente dietro di loro.
Nico sbuffò, come se parlarmi fosse la cosa più seccante del pianeta... cosa che probabilmente era vera. "Abbiamo trovato le Eumenidi" rispose. "Ci hanno condotto loro qui. Non so per quale motivo, ma sembra abbiano una specie di collegamento mentale con le Erinni, cosa che permette loro di sapere tutto ciò che le altre pensano."
"Grazie al mio veleno abbiamo fatto un buco nel muro" aggiunse Katie. "Non so perché ma si è rivelato estremamente corrosivo."
Sorrisi. "Ricordami di non farti arrabbiare in futuro" commentai.
La ragazza rise. "Sarà meglio per te, Stoll. E adesso vedi di muoverti, o ci rimaniamo tutti secchi oggi."
"Agli ordini!" E accelerai il passo.
Il momento di felicità, però, durò relativamente poco.
Appena una decina di minuti dopo, una simpatica donna in tunica greca ci si parò davanti, bloccandoci la strada.
"Bene, bene" fece, rigirandosi qualcosa tra le mani, troppo rapidamente perché potessi riconoscere l'oggetto. "Vedo che qui c'è qualcuno che ha bisogno di essere messo in riga..."
Nico sfoderò la spada, ma, ad un gesto della donna, l'arma fu spazzata via e conficcata in una parete del tunnel, dando origine ad una ragnatela di crepe sempre più fitta, dalla quale iniziò ad uscire una sorta di liquido scuro, simile a lava nera, disseminata di quelli che sembravano pomi d'oro.
"Ops" ridacchiò la donna osservando attentamente il suo operato. "Be', sapete com'è... il caos ha sempre regnato, regna, e regnerà in eterno, fino a quando ci sarà vita e, se sarà possibile, anche dopo!" E scoppiò in una risata isterica.
Nico provò a tirare la sua spada fuori dalla roccia afferrandola per l'elsa con entrambe le mani, ma così si trovò costretto a camminare nel liquido nero, che si solidificò attorno ai suoi piedi, bloccandolo.
Katie, accanto a me, aveva estratto la sua boccetta con l'etichetta nera col teschio e l'agitava con fare minaccioso davanti alla donna.
"Chi è?" le chiesi. Non ero esattamente una cima in mitologia.
La figlia di Demetra stappò la sua arma e la lanciò, ma la greca riuscì a schivarla semplicemente sparendo e ricomparendo qualche istante dopo. "È Eris, la dea del caos" rispose Katie. "Non hai visto le mele?"
Guardai meglio l'oggetto che la divinità teneva tra le mani. Katie aveva ragione. Era una mela d'oro. "Può essere sconfitta?" domandai. Non potevo fare altro. Ero disarmato, se la cintura dei pantaloni e le stringhe delle scarpe non potevano essere considerate armi.
"Non credo" rispose la ragazza, prima di estrarre un piccolo pugnale di bronzo celeste.
La dea rise. "Stupidi mortali" disse avvicinandosi. "Non importa quanto lontano andrete, quanto a lungo fuggirete... le maledizioni vi raggiungeranno comunque."
In quel momento, feci due più due. Eris era una figlia di Nix. Le Erinni erano figlie di Nix. Questo significava che erano sorelle. Di conseguenza, poteva essere stata Eris a scrivere la mia maledizione. Motivo per cui la odiavo ancora più di prima.
"Non spetta a me ucciderti, semidio" continuò Eris, guardandomi dritto negli occhi. I suoi sembravano pozzi neri senza fondo, privi di iride, pupilla o cornea. Erano un tutt'uno, un infinito lago nero. "Io ho solo il compito di rallentarvi. Che più che un compito è un piacere ed un divertimento." Lanciò la mela d'oro ai miei piedi.
Guardai il pomo. Poi Eris. Di nuovo il pomo. Poi Katie. E infine ancora il pomo. Non si era mosso di un millimetro. Gli diedi un colpetto con il piede. Niente. Lo ritrassi. E fu quello il mio errore.

[Allooora, finalmente sono riuscita a scrivere qualcosa di senso compiuto. È stata una lotta infinita, ma dopo più di un mese ce l'ho fatta. Prima di tutto, ringrazio tutti quelle gentili personcine che leggono ancora sto schifo di fanfiction. Eeee siamo arrivati ad 1K visualizzazioni cosa che avrei ritenuto impossibile.
Ed infine, tanti auguri a Percy Jackson!
Adesso che ho avuto il mio momento alla J. K. Rowling mi eclisso. Adieu.♡]

Amore di sguardiOn viuen les histories. Descobreix ara