Gluttony

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La navicella si librava in cielo, un silenzioso testimone della notte stellata. Aveva lasciato l'Area 51 senza destare sospetti, senza far danni, come se non fosse mai stata lì. A bordo, Xyzzyx, ora configurato come navigatore, stava pilotando la navicella verso Noah's Ark, un luogo sicuro dove gli Elemeths potevano finalmente trovare rifugio.

La navicella, nonostante le sue dimensioni contenute, simili a quelle di un piccolo aereo, era sorprendentemente spaziosa all'interno, capace di trasportare un centinaio di umani. Tuttavia, era evidente che non era stata originariamente progettata per ospitare esseri umani. Le sue linee fluide e i suoi interni modellati sembravano pensati per forme di vita diverse, forse più piccole, come i grigi.

Gli Elemeths, ora liberi dal confinamento della base militare, osservavano con curiosità il paesaggio terrestre che si allontanava sotto di loro. La loro forma umana si era adattata temporaneamente alla fisicità della navicella, ma la loro essenza rimaneva legata alle stelle.

"Xyzzyx," chiese Ken, "quanto tempo ci vorrà per arrivare a Noah's Ark?"

Il navigatore emise un suono melodico, quasi musicale, che riecheggiava attraverso la cabina. "Non molto," rispose. "In termini umani, sarebbe un battito di ciglia."

Maya si avvicinò al pannello di controllo, le sue dita sfioravano i simboli luminosi. "E una volta arrivati, cosa succederà agli Elemeths?"

Xyzzyx si illuminò di un colore caldo, rassicurante. "Troveranno pace," disse. "E forse, con il tempo, un modo per tornare alla loro forma originale."

Lily si appoggiò alla finestra, guardando le stelle. "E noi? Cosa faremo?"

Erik posò una mano sulla sua spalla. "Noi continueremo a esplorare, a scoprire. C'è un intero universo là fuori."

La navicella continuò il suo viaggio, un piccolo punto luminoso tra le infinite distese del cielo, portando con sé la speranza di nuove scoperte e l'inizio di un nuovo capitolo per gli Elemeths e per l'umanità. 

Kamal, dal canto suo, si sentiva ancora scosso dagli eventi, ma continuava a prendersi cura di Joshua. Gli arcangeli rimanevano neutrali nelle battaglie di Noah's Ark. Joshua, era costantemente impegnato nell'esplorazione e nella scoperta. Ora il loro rapporto era simile a quello tra fratelli, visto che ora l'uomo era in grado di formulare frasi di senso compiuto. Kamal portava Joshua a spasso per le vie di Roma, cercando di osservare le sue reazioni con attenzione.

Joshua si muoveva tra i rumori, gli odori e i colori senza un vero interesse, distratto da tutto ciò che lo circondava. Tuttavia, davanti a un crocefisso iperrealistico, rimase immobile. La sua mente, non strutturata come quella di un bambino, cercava di comprendere la follia di un culto religioso che aveva scelto come simbolo un giovane uomo ucciso con uno strumento di tortura.

Il crocefisso, con la sua figura sofferente e le membra distese, rappresentava il sacrificio e la sofferenza. Era un'icona di devozione e redenzione per alcuni, ma per altri poteva apparire come un simbolo di crudeltà e violenza. Joshua, con la sua mente curiosa e aperta, si trovava di fronte a una profonda contraddizione: come poteva un atto così brutale essere considerato sacro?

Forse, in quel momento, Joshua intravide la complessità dell'animo umano e la lotta tra fede e ragione. Il crocefisso, con la sua storia di dolore e speranza, rappresentava un enigma che avrebbe continuato a tormentarlo mentre esplorava il mondo e le sue molteplici sfaccettature. 

Kamal portò Joshua al parco, un'oasi di tranquillità nel cuore di Roma. I giardini erano un rifugio dal trambusto della città, con viali alberati e prati verdi che si estendevano per ettari. 

Nel cuore di Villa Doria Pamphilj, tra la serenità dei giardini e l'eco di risate lontane, si aggirava una figura che sembrava uscita da un dipinto di Bosch: Un clochard che rovistava nella spazzatura. La sua presenza era un contrasto vivido con l'ambiente circostante, quasi un'anomalia nel paesaggio.

HumanimalsWhere stories live. Discover now