18. Il disastro

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Se c'è soluzione perché ti preoccupi?
Se non c'è soluzione perché ti preoccupi?
-Aristotele

Juliette
Ricordavo tutto. E questa cosa mi metteva dannatamente paura. In realtà erano le parole di Lucas a mettermene perché questo voleva dire che prima o poi lui l'avrebbe fatto. Avrebbe fatto quell'ultimo passo, che l'avevo ravvisato di non fare, che mi avrebbe portata ad odiarlo definitivamente. E per quanto non volessi sarebbe stato inevitabile. Niente più sorrisi, niente più litigate e scuse silenziose, tutto perso in un limbo chissà dove.
Perché il fuoco che avvertivo dentro di me sarebbe eruttato come un vulcano radendo al suolo tutto ciò che incontrava. Perché quel fuoco non sarebbe mutato in un fuoco positivo o passionale. E oltre ad odiare lui avrei odiato me stessa.
Per una volta decisi di andare contro la mia etica personale. Ignorai il problema e mi buttai a capofitto su altri problemi.
Hai la soluzione? Bene.
Non hai la soluzione? Bene comunque.
Non sapevo che ore fosse. E non seppi neanche per quanto mi girai e mi rigirai nel letto. Aspettai soltanto di udire il cinguettio degli uccelli per prepararmi, vestirmi e correre in palestra.
Scesi gli scalini, che portavano all'anticamera degli scantinati, a due a due sentendo l'impellenza di arrivare in palestra.
A una parte di me sarebbe piaciuto dimenticarsi accidentalmente delle fasce da boxe. Ma la mia parte razionale sapeva che non avrei mai potuto controllare chi mi avrebbe curato le ferite.
Feci un respiro profondo raddrizzando la mia posizione davanti il sacco.
Mi concentrai provando a lasciare tutto il mondo al di fuori di quella stanza.
Volevo un po' di quiete, una tregua dai miei pensieri.
Ma quando sferrai il primo colpo un pensiero si fece strada con forza in mezzo agli altri. Come se quel colpo l'avessi sferrato per lui.
Le cicatrici di Lucas.
Per quanto fossi allo scuro di chi o cosa gliele avesse procurate il sol pensiero mi generava una moltitudine di emozioni, la maggior parte negative. Mi chiedevo chi potesse fare una cosa del genere e quale parte del suo passato celasse quel segreto. Forse avrei voluto conoscere molto di più di lui. E anche di Leo. Mi sarebbe piaciuto sapere cosa avevano vissuto per diventare gli uomini che erano.
Scrollai la testa provando a riprendere il controllo della mia mente. Se mente e corpo non giocavano nella stessa squadra allora ogni tentativo sarebbe stato vano.
Caricai l'altro braccio ma nella collisione tra il mio pugno e il sacco, eccolo lì un altro pensiero che non voleva rimanere incatenato.
Il sorriso di Leo.
Questo pensiero mi privò del respiro. Come se improvvisamente qualcuno avesse sottratto tutta l'aria che c'era nella stanza.
Nell'ultimo periodo le cose erano generate senza che io ne avessi il controllo e la cosa mi aveva destabilizzato, per quanto volessi nasconderlo.
Il sorriso di Leo era una bella cosa, una delle più belle.
Il sorriso delle persone che amo era una delle cose che mi sapeva riscaldare il cuore maggiormente nei momenti peggiori.
Eppure io ero riuscita a trasformarlo in qualcosa di negativo.
Non sono stupida e neanche cieca, forse stupida si dopo quello che sto per dire, ma ignorare i sentimenti che provo e che provano i ragazzi è più facile. Anche se vale a dire far soffrire Leo.
Il colpo successivo era dedicato ancora allo stesso pensiero. Immaginai di sferrarlo a me stessa, come uno schiaffo per potermi svegliare e vedere con lucidità.
Ti sei illusa da sola.
Sferrai i due colpi successivi al sacco facendo tremare la catena che lo reggeva. Ebbi il timore che cadesse.
Quei colpi in realtà simboleggiavano una risposta, un 'lo so' e l'ammissione della mia stupidità. Della consapevolezza di me stessa e di ciò che stavo commettendo tramite le mie piccole azioni.
Mi odiavo quasi quanto avrei odiato lui.
Oizys.
L'ultimo pensiero dedicato all'ultimo colpo. Il colpo decisivo. Quello che mandò al tappeto il sacco.
Sferrai un colpo secco facendolo sbattere alla parete per poi cadere sul pavimento riversando un po' del contenuto.
Da lì in poi fu come se avessero aperto una diga. Una diga che era stata creata per poter contenere l'immensità dei miei pensieri, ma soprattutto per proteggermi dalla loro devastazione. Separatamente erano controllabili ma insieme...insieme erano distruttivi.
Ed ecco che compresi, la soluzione, ciò che ci avrebbe dato il vantaggio decisivo.
Non mi preoccupai di ciò che mi lasciai dietro quando sfrecciai fuori dalla palestra.
Quando sentii la porta sbattere ero già arrivata alla fine delle scale. Li avevo praticamente sorvolati data la mia impazienza.
Mentre correvo per i corridoi della tenuta mi sorse una domanda. A chi l'avrei detto per primo?
La risposta sembrava facile al primo di noi che avrei incontrato.
Chiunque tranne Lucas.
Sul serio? Ora lo evitiamo?
Si.
Va bene non avevamo avuto nulla eppure quel nulla sembrava tutto. Troppo, molto rispetto ad alcune relazioni.
Il problema era che andava oltre il semplice desiderio fisico. Forse era desiderio mentale.
La prima persona che incontrai fu Marco, per fortuna.
Per poco non gli andai a sbattere contro. Ma riuscii a fermarmi in tempo.
«Marco ho capito, so come riuscire ad avere la meglio sui mafiosi» annunciai piena di entusiasmo.
Il mio migliore amico mi sorrise ricambiando il mio entusiasmo.
Stavamo per abbracciarci e andare dagli altri quando il rombo di uno sparo riecheggiò per tutta la tenuta. Mi guardò allarmato prima di lanciarmi nella stanza più vicina.
«ma che succede?» ci girammo contemporaneamente verso la fonte di quella voce.
Non ci pensai due volte mi catapultai verso Leo tappandogli la bocca con una mano e usando l'altra per reggermi.
Sgranò gli occhi guardandomi negli occhi.
Poi mi resi conto che non indossava la maglietta e che aveva i capelli bagnati. Segno che era appena uscito dalla doccia.
Un altro sparo e un tonfo mi riportarono al presente.
Si divincolo dalla mia presa buttandosi sul letto. Indossò la maglietta poggiata su di esso ed estrasse la sua pistola dal cassetto del comodino. La caricò.
Feci qualche passo indietro non riuscendo ancora a comprendere ciò che stesse accadendo.
Marco mi bloccò poggiando le sue mani sulle mie spalle.
Mi guardai le spalle scambiandoci uno sguardo.
Leo si diresse verso la poltrona che si trovava accanto al suo letto. La sua stanza era stranamente molto simile alla mia.
«mettilo» mi ordinò lanciando un giubbotto antiproiettile.
Il suo giubbotto antiproiettile.
Lo presi al volo.
Ma mi rifiutai di indossarlo «no è il tuo devi indossarlo tu»
«non discuterò con te di questo» tagliò corto troncando la discussione. Come se quella fosse l'unica opzione sensata.
Lo indossai riluttante.
Si fece avanti uscendo per primo controllando entrambe le direzioni.
Non mi accorsi quando esattamente la estrasse ma adesso anche Marco sfoderava una pistola.
Mi ritenevo una persona molto intelligente ma di certo non la più scaltra.
Quando vidi quattro uomini grandi e grossi come un armadio quattro stagioni avanzare verso di noi, non ci pensai due volte prima di lanciarmici contro.
Presi la rincorsa per potermi dare la spinta adeguata contro una delle pareti. Feci una capriola atterrando sulle spalle del primo uomo.
Usai entrambe le braccia per girargli il collo in modo da farlo svenire senza ucciderlo. Un piccolo trucchetto che mi aveva insegnato Lucas.
Prima che cadesse sul pavimento feci un salto per non crollare con lui.
Mi abbassai poggiando una mano a terra inarcando la schiena come per fare un ponte, schifando il colpo di un'altro di loro in modo che colpisse il suo compagno.
Quando quest'ultimo perse i sensi, mi abbandonai ad un sorrisetto compiaciuto.
Una testata a quella con la pistola che era già a terra contando gli uccellini che gli giravano sulla testa.
Gli sfilai la pistola di mano puntandola sugli ultimi due.
Erano già in fuga quando li colpii con estrema precisione alle gambe facendoli cadere come birilli. Le lezioni di Lucas erano servite.
Quando ebbi finito, e disarmato anche gli ultimi due, mi girai verso i ragazzi.
«devo fare sempre tutto io» mi lamentai godendomi il loro sgomento.
Continuammo a camminare finché non trovammo Alyssa e Lucas. Si coprivano le spalle a vicenda. Erano una bella coppia.
«che diavolo ci fa con una pistola?» si lamentò Lucas con il fratello.
«se l'è guadagnata» gli rispose l'altro facendomi l'occhiolino.
Sorrisi. Ero felice che fosse dalla mia parte.
Ormai eravamo vicini allo studio di mio nonno.
Un colpo, non di pistola, e un urlo.
«nonna!» la chiamai ignorando di nuovo la razionalità.
Corsi quei pochi metri che ci dividevano con il cuore alla gola. Il terrore crescente nelle vene e le lacrime che volevano uscire. Ma non gliel'avrei permesso finché non ne avrei avuto la certezza.
Dovevo essere positiva fino all'ultimo.
Varie mani provarono a fermarmi prendendomi per il polso ma nessuno ne fu capace. Non gliel'avrei permesso.
Continuai nonostante le loro urla e i passi che mi seguivano.
Quando giusi sulla soglia della porta trovai quattro corpi sul suolo con vari fori di proiettile. Ma neanche l'ombra di Loretta.
Solo una delle librerie che si chiudeva.
Provai a raggiungere il passaggio in tempo, anche chiamandola, ma ogni sforzo fu vano.
Quando lo raggiunsi ormai si era chiuso. Sbattei un pugno per la frustrazione.
«Juliette dobbiamo andare» come sempre un ordine.
«starà bene» mi rassicurò Marco prendendomi per il polso e guidandomi verso l'uscita.
Non c'era l'ombra di nessun altro. Solo troppo silenzio.
Scendemmo uno dei due grandi scaloni, percorrendo i lunghi corridoio solo per arrivare alle cucine.
Non c'era l'ombra di un'anima. Non avevo mai udito tutto quel silenzio nel castello. Neanche di notte gli animi si spegnevano. E quel silenzio anomalo mi scuoteva sensazioni negative.
«dovresti portarla via» suggerì il maggiore a suo fratello ignorando la mia presenza.
Gli avrei voluto urlare che ero lì, che potevo sentirlo e di smetterla di ignorarmi perché non me lo meritavo e soprattutto era ingiusto.
«io non vi lascio» mi imposi ignorando il suo comportamento.
«tu fai quello che dico, non metterò a repentaglio la tua vita solo perché vuoi giocare a fare l'eroina come i personaggi dei tuoi libri» gli avrei dovuto assolutamente trovare delle pastiglie per la sua acidità di stomaco.
«non abbiamo tempo per i vostri futili litigi» alzò gli occhi Aly.
«solo insieme possiamo arrivare ad Oizys, volevo venirvi a dire questo» iniziai.
«non abbiamo tempo July ce lo racconterai dopo» mi interruppe Leo.
Vidi la testa di Alyssa scattare verso la porta e tutto il suo corpo protendersi verso di essa. I suoi occhi saettavano in ogni direzione seguendo delle voci sommesse. Non mi impegnai molto per udire ciò che stavano dicendo. Non sembrava importante, lei sembrava concentrata più su altro.
«noi siamo troppo pochi» esordì continuando ad ascoltare.
Passi. Ecco cos'erano. Tanti passi che si accavallavano gli uni sugli altri aumentandone l'intensità.
Leo mi prese il polso mettendomi dietro di se. Tutti si schierarono davanti a me facendomi scudo con i propri corpi.
«no, no, no non ve lo permetterò, dovete salvarvi anche voi» provai a respingerlo «poi io non sono l'unica reale» sottolineai.
«ma nessuno di noi può salvare il mondo» mi contrastò Marco.
«oh ma per favore» protestai esasperata.
Attivai il cip facendoli da parte, fronteggiandoli. Mi misi davanti a tutti. Volevo essere in prima linea.
«tranquilli che so cavarmela» impugnai la pistola contro la porta caricandola. Un ghigno si fece strada sul mio volto.
«non abbiamo dubbi ma» provò a spiegarmi Leo.
Lucas gli poggiò il dorso di una mano sul petto bloccandolo «lasciala fare, vediamo fin dove arriva»
Vedevo che suo fratello avrebbe voluto fare qualcosa per impedirmelo. E molto probabilmente avrebbe voluto anche urlarmi quanto quella fosse una scelta suicida.
Rilassai le spalle e mi preparai allo scontro imminente. L'intensità dei loro passi continuava ad aumentare ad ogni metro che li separava da noi.
Non aspettai che aprissero la porta. Caricai la postola e premetti il grilletto facendo cadere il primo di loro.
Qualche borbottio e qualche imprecazione arrivarono da dietro la porta. Sorrisi soddisfatta.
In totale ne avevo contati quattro quindi mi preparai a stendere gli altri tre.
Questa volta fu tutto molto più rapido. Tramite i rumori che producevano riuscivo e ricreare i loro spostamenti, come se riuscissi a vederli.
Il secondo si posizionò alla mia destra rispetto al primo. Colpii all'altezza della gamba.
Il terzo invece provò ad allontanarsi sperando che il proiettile perdesse velocità ma lo beccai in tempo. Prima sulla spalla per farlo rallentare e poi sulla schiena vocino alla colonna vertebrale.
L'ultimo invece si credeva più scaltro. Pensava di potersi sottrarre al proprio destino. Quasi mi faceva pena.
Si era messo nella mia stessa posizione.
Provò a spararmi ma usai la mia velocità per abbassarmi in tempo in modo che colpisse una delle credenze.
Gli sparai nello stesso punto in cui lui aveva provato a colpirmi. L'addome.
Abbassai la pistola ormai scarica facendomi pervadere dalla soddisfazione quando udii degli altri passi.
Non sarei stata abbastanza veloce. Avrei dovuto ricaricare la pistola in tempo con le ricariche che avevo preso di nascosto, ascoltare e tradurre i suoi movimenti per poi riuscire a colpirlo nel punto giusto. Mi maledissi per non essere stata abbastanza attenta.
Uno sparo riecheggiò nell'aria. Ma non proveniva da dietro la porta.
La sua origine si trovava dietro di me.
Capii di non dovermi muovere o sarei diventata io il bersaglio di quel colpo.
Rimasi immobile aspettando che mi superasse.
Lo sentii sfiorarmi l'orecchio e smuovere un po' l'aria. Quando colpì l'uomo mi girai per vedere la sua provenienza.
Trovai Lucas con la pistola ancora puntata contro la porta e lo sguardo torvo.
La abbassò rimettendola nella fondina.
«ne hai dimenticato uno» mi sorrise.

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