12. La neve per il mio fuoco

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"Ho sempre avuto un debole
per le cose impossibili"

Juliette
Eravamo tornati a casa già da qualche ora eppure Alyssa non accennava ad uscire dalla sua camera. Si era fatta recapitare tutti i suoi pacchi. Quattro in tutto (fin ora) in cui aveva rinchiuso tutta la sua vita. E aveva cominciato a sistemare compulsivamente e minuziosamente. Lo faceva sempre. Se era in ansia faceva una sola cosa: ordine, ordine, ordine.
E per questo sapevo anche quando farmi da parte. Alyssa possedeva delle regole tutte sue. Bisognava rispettarle. E quello era il momento di lasciarle i suoi spazi.
Ero braccia conserte fuori dalla sua camera. Fissavo la porta e sentivo gli oggetti che venivano spostati, ma la mia mente era altrove. Mi ero disconnessa.
Sentii una figura incombere alla mia destra. Era Marco. Anche lui era preoccupato. Sapevo. Sapevo che lui era capace di stare anche peggio di lei. E di me. Perché se si trattava di noi lui perdeva il controllo. Rendeva proprio il nostro dolore. E certe volte sembrava lo amplificasse.
«lei ricorda?» quelle parole mi arrivarono lontane anni luce.
«no, non ancora» ammisi. «ma lei sa, sa che c'è qualcosa che dovrebbe ricordare e che le viene impedito».
«Juliette»
«Marco»
Quelle voci. Quelle stramaledette voci. Che non erano solo voci. Perché certe voci non ti smuovevano certe sensazioni. E allora cos'erano?
Juliette tu non provi nulla.
E me lo ero ripetuta fino alla nausea. Il mio subconscio sapeva perfettamente cosa stessi provando ma era anche consapevole di quanto fosse sbagliato e per questo non mi permettevo neanche di pensarci. Neanche di sfiorare il pensiero di quella prima voce dura. Rude e profonda. Che con la propria intonazione riusciva ad arrivarmi fino nei meandri della mia anima.
E la seconda dolce, calda. Carezzevole. Che sapeva cullarmi. Coccolarmi e affievolire ogni male.
Zitta! Sono i tuoi bodyguard e sono fratelli.
Mi ero persa di nuovo nel mio mondo. Nella mia testa. In quel luogo che era realmente casa. Che mi ero creata e che ormai non riuscivo a lasciare.
Ritornai al presente, alla vita reale, nel momento in cui una mano si appoggiò sul mio fianco.
Scattai quando tutti i miei sensi si risvegliarono.
La sua mano.
«Banphrionsa» banphrionsa...
E il tono che aveva usato. Differente dal solito. Era dolce. Dolce?
Ma ti senti? Stai blaterando.
«Juliette» questa volta si fece più serio.
Spostai lo sguardo da quel contatto ai suoi occhi. Un nocciola che non lasciava trasparire...cosa? Questa volta invece riuscii a scorgere qualcosa. Preoccupazione.
Dovevo aver sbattuto la testa. Davo la colpa ad un trauma cranico. Non c'erano altre spiegazioni.
«perché non lasciamo che si riprenda?» ora quel tocco si era intensificato e mi stava attraendo verso di se.
Mi girai verso il mio migliore amico e protesi una mano nella sua direzione. Sembrava lontano. Ma sapevo che non si era mosso e neanche io.
«così posso prendermi cura di te» scattai di nuovo nella sua direzione.
Con la mano libera sfilò una foglia dai miei capelli. Era rimasta incastrata nell'inseguimento. E quel gesto, per quanto piccolo e insignificante, mi sembrava più intimo del dovuto.
Lucas che stai facendo?
Avevo il fiato mozzato. Cosa mi stai facendo?
E mi abbandonai. Mi abbandonai a quel tocco e mi feci guidare.
E mi ritrovai in camera mia. Nel mio bagno. Tra il suo corpo e il lavandino.
«che cosa stai facendo?» chiesi timorosa.
«secondo te banphrionsa? Ti sto medicando» medicando? No, no. Tu mi odio. Io ti odio.
«stammi lontano!» l'avevo detto ad alta voce.
Non l'avevo soltanto pensato.
«juliette...» perché pronunci il mio nome in quel modo?
Ma non indietreggiò. Chiunque altro l'avrebbe fatto. Ma lui no. Perché era Lucas De Angelis non un qualsiasi ragazzo. Era un uomo. E sapeva ciò che faceva.
«io te lo chiederò e tu sarai sincera» fece una pausa. «vuoi realmente che io mi allontani?» era calmo.
«no!» risposi frettolosamente e con troppa enfasi.
Un ghigno. Un ghigno gli si stampò in viso e alzò addirittura il sopracciglio.
«allora perché mi allontani?» quelle parole mi colsero alla sprovvista. Anche perché dal suo tono di voce dietro quella frase non sembrava celarsi il suo solito gioco. Era serio e si aspettava una risposta.
Ma io riuscii soltanto a controbattere:«perché lo fai anche tu?» ma sembrava più un'affermazione che una domanda.
Non l'avevo visto prendere la cassetta del pronto soccorso. Ne bagnare il cotone con l'alcol. Ma quel giorno non stavo notando molte cose.
Ma fui clemente con me stessa. Sarei tornata ad essere me stessa domani. Oggi potevo anche abbandonarmi a quelle dimenticanze.
«posso?» chiese il permesso.
E lo maledissi per l'ennesima volta quel giorno. Perché doveva mostrarmi quel suo lato dolce e sensibile? Sarei finita per innamorarmene e lui l'indomani me ne avrebbe privata.
Annuii dimenticandomi come si parlasse.
Lo appoggiò sul mio sopracciglio con una delicatezza che non gli avevo mai visto. Ma che sembrava appartenergli.
«Ahia» mi lamentai appena il cotone venne a contatto con il mio sopracciglio tagliato.
«ora sembrerò una vera gang star, una vera cattiva ragazza» sdrammatizzai.
Avevo notato il suo rammarico nell'avermi recato dolore.
Teneva il viso basso.
«Hey» lo richiamai alzandogli il mento con un dito.
«siamo tutti provati»
Ma non mi sarei mai aspettata quel turbine di emozioni nel momento in cui avesse posato i suoi occhi sui miei. Diedi la colpa allo shock. Alla giornata stressante. E a tutte le sue conseguenze.
Per un attimo pensai che mi avrebbe baciata. Che avrebbe posato le sue labbra sulle mie e che così avrei scoperto il sapore del frutto proibito.
Ma invece spostò la sua mano sul mio fianco. La mia tutina era stata lacerata e sanguinavo. Ecco perché dicevo di non essere in me stessa. Non mi ero neanche resa conto di star sanguinando.
La mia tutina. Piagnucolai tra me e me.
Oh cazzo. Mi sarei dovuta spogliare.
Era un pezzo unico in modo da non rimanere nudi durante le colluttazioni. Ma in quel momento mi pentii di quella scelta.
Le sue dita indugiarono per un momento di troppo sul mio collo. Nel punto in cui finiva la mia pelle e cominciava il tessuto.
La zip finiva sul mio sedere. Ma non fu così temerario.
Finì la sua discesa nel momento in cui arrivò all'altezza del fianchi.
E io sfilai le maniche. Ma nel momento in cui arrivai nel punto della ferita non riuscii a levarla. Faceva un male cane.
Promemoria: cambiare tessuto.
Come un cerotto Juliette. Lo strappai via non pensandoci troppo.
Per poco non mi misi a urlare svegliando il resto della tenuta ancora dormiente. In effetti erano le sei e i primi raggi del sole trapelavano dalle finestre. Ma nelle cucine e nei meandri del castello c'era già chi era all'opera.
Buttai la testa all'indietro. E dalla mia bocca fuoriuscii un gemito di dolore. Oh cazzo un gemito. Quella giornata era un inferno.
Rialzai subito la testa in uno scatto. Guardai Lucas. Il suo sguardo era tornato quello di sempre che nn lasciava trasparire la minima emozione. Ma qualcosa lo tradì. Qualcosa di impercettibile. Strinse la mandibola e il suo pomo d'Amado salì per poi scendere ingoiando.
Ormai il mio corpo si muoveva prima che la mia mente potesse metabolizzare gli input esterni e formulare una risposta consona.
Avvicinai le dita al suo collo sfiorandogli il pomo d'Adamo. Era bellissimo e lo trovavo molto attraente.
«è interessante l'effetto che ti faccio» inclinai di poco la testa a destra non interrompendo quel contatto.
Mi prese la mano con forza abbassandola lentamente «principessa» mi richiamò con un tono rude. Fin troppo.
Incastrai i miei occhi nei suoi. E aggrottai la fronte rivolgendogli il mio sguardo peggiore. Lo fulminai «non mi chiamare in quel modo» tuonai.
«qualche volta ha bisogno che qualcuno le ricordi quali sono i ruoli» continuava a non abbandonare la mia mano.
«non darmi del lei» e con uno strattone sfilai la mia mano dalla sua.
Gli girai le spalle e mi incamminai verso camera senza rivolgergli neanche uno sguardo. Ma non riuscii a fare neanche due passi perché una fitta lancinante al fianco mi divise in due.
«Juliette!» urlò raggiungendomi e aiutandomi a reggermi in piedi.
«ti prego» mi supplicò.
Lo guardai negli occhi e non potei che acconsentire. Ti odio maledetto.
Volevo scappare. Volevo fuggire il più lontano possibile da lì. Da lui. E l'avrei fatto se il mio corpo non avesse deciso di girarmi le spalle proprio in quel momento. Ma io lo so che c'entri tu, grazie tante Universo.
Mi fece di nuovo appoggiare al lavandino. Questa volta però mi teneva ferma. Aveva appoggiato una mano sul mio ventre mentre con l'altra mi medicava.
Dovevo ammetterlo faceva male. E anche molto. Ma tutta quella situazione mi distraeva abbastanza da non pensarci e accorgermene che avesse finito.
Prima di staccarsi rimase su di me un minuto di troppo. E forse avrei voluto che non si fosse mai staccato. Ma non l'avrei mai ammesso.
Decisi di rischiare. Di rischiare tutto. Non potevo tenermi ancora per molto quelle informazioni soltanto per me. Nell'ultimo periodo ero stata molto "impegnata" e non avevo avuto modo di pensarci ma sapevo che mi avrebbero logorata fino a lasciarmi a pezzi.
Aveva appena buttato il cotone nel cestino vicino al bagno quando iniziò a fasciarmi la ferita sul fianco.
Movimenti calcolati, lenti e delicati. Quella delicatezza.
Gli appoggiai una mano sulla spalla richiamando la sua attenzione «Lucas».
Le sue mani rimasero a metà mentre il suo sguardo si alzava su di me.
«se non lo faccio ora non lo farò mai più»
Chissà cosa stesse pensando perché spalancò subito gli occhi.
«posso fidarmi di te?» sussurrai.
«sempre banphrionsa» e il cuore perse un battito per la profondità della sua voce e per la dichiarazione che aveva portato con se.
Inghiottii un groppo che avevo in gola.
Presi coraggio e pronunciai quelle parole tutte d'un colpo:«nonnamiavevachiestoseavessidettoaqualcunodioizys» presi di nuovo a respirare.
«Coosa?» questa volta la sua sorpresa era evidente.
«era strana, mi ha chiesto se tu o Leo sapeste di lei, le ho detto di no perché sentivo che fosse la scelta migliore» respiravo affannosamente dall'ansia.
«i-io non sapevo che fare» avevo cominciato a balbettare e tremare. Non sapevo come gestire tutto quello stress fino a qualche mese prima la mia vita era stata semplice e monotona a parte qualche situationship. Io non ero abituata a colluttazioni, incubi, menzogne e...loro.
Iniziai a piangere. Era troppo. Era tutto troppo per me. Non ce l'avrei fatta. Stavo già crollando ed ero solo all'inizio. Non capivo tutti quelli che invidiavano noi reali. Che aspiravano alla nostra vita. Ma forse solo la mia era così difficile. Ogni stato possedeva i propri reali. Esistevano soltanto monarchie. E forse era solo la mia vita un grande casino.
Mi portai le mani al viso nascondendomi. Non volevo che mi vedesse in quello stato. Nessuno mi dava la certezza che non avrebbe usato a suo favore quella mia debolezza. Gli altri potevano dirmi quello che volevano ma per me piangere era un debolezza. E non puoi fidarti di nessuno a questo mondo. Allora perché lo stavo facendo con Lucas?
Mi cinse con le sue braccia. Avvolgendomi in un caldo abbraccio appoggiando il mento sulla mia testa. Lo sentii anche sospirare. Ma non so cosa mi fece intuire che non era un sospiro dovuto alla mia pesantezza. Era stato scaturito da altro.
«shh» mi sussurrò all'orecchio.
«Juliette tu potrai sempre fidarti di me» ed era esattamente ciò di cui avevo bisogno sentirmi dire.
«ma tu mi odio» riuscii a sussurrare tra un singhiozzo e l'altro.
Rise. Mi rise letteralmente in faccia. Un bella e fragorosa risata.
Mi staccai per dargli uno schiaffo sulla spalla.
«Ahia» si lamentò tra una risata e l'altra. Che stronzo.
«sei uno stronzo!» e gli diedi un'altro schiaffo.
Avevo anche iniziato a colpirlo sul petto. E con il cip gli facevo davvero male, quindi mi aveva bloccato prendendo le mie mani nelle sue. Troppo contatto fisico tutti in una volta. I miei sensori stavano andando in corto circuito.
«come puoi credere che io ti odi?» aveva un tono serio e profondo.
Non risposi. Non avevo il coraggio. L'aveva pronunciata come se fosse tutto così ovvio e io fossi una cretina, una pazza, ad ipotizzare una cosa del genere.
Mi inumidii le labbra e vidi i suoi occhi assaggiare ogni mio movimento.
Ora non stava guardando più me. Ma tutta la sua attenzione era rivolta alle mie labbra. Lasciò la presa sulla mia mano sinistra prendendo il mio labbro inferiore tra le sue dita.
Cosa stai facendo? Ti prego torna ad odiarmi perché il mio povero cuore non regge.
«Ma tu...» le parole continuavano a morirmi in bocca «mi avresti lasciata morire quella notte» mi aveva salvata solo perché era il mio bodyguard perché il suo lavoro glielo imponeva. L'aveva ammesso.
«aveva ragione Alyssa, piccola Juliette, troppo ingenua in certe cose, troppo scaltra in altre» vidi un guizzo nei suoi occhi mentre continuava ad accarezzare il mio labbro.
Avrei chiesto spiegazioni più tardi alla mia migliore amica. Poiché in quel momento avevo perso totalmente l'uso della parola. Se non totalmente il controllo di me stessa.
Il mio istinto mi urlava a caratteri cubitali soltanto una cosa: scappa. Ma io mi sentivo incollata al suolo. E molto probabilmente con la colla più resistente al mondo.
Ma un'immagine molto particolare catturò la mia immagine. Uno dei miei più grandi sogni.
Il bagno della mia camera non possedeva nessuna finestra. Dava direttamente sul grande corridoio della tenuta. Ma da quell'angolazione, tramite la porta aperta, si poteva benissimo scorgere il panorama fuori dalle enormi finestre della mia camera.
Piccoli fiocchi di neve stavano danzando nell'aria percorrendo il loro tragitto fino al suolo. E io rimasi incantata.
La usai anche come scusa per interrompere quel contatto con Lucas. Troppo pericoloso.
Aveva finito di bendarmi la ferita quando iniziai a correre fuori dalla tenuta. Ero ancora mezza nuda. In reggiseno. Con la tuta abbassata fino ai fianchi. Ma tutto passava in secondo piano.
Non avevo mai visto la neve prima d'ora. L'avevo sempre sognata. Visto attraverso delle foto. Ma non avevo mai provato il suo abbraccio glaciale.
Spalancai la porta d'ingresso facendole produrre un tonfo sonoro. Non curante dell'orario e del fatto che qualcuno ancora stesse dormendo.
Scesi frettolosamente le scale ritrovandomi al centro dello spiazzale.
Il freddo che mi avvolgeva. Le guance arrossate e la gioia nel petto.
Aprii le braccia e iniziai a girare su me stessa provando a prendere con la lingua i fiocchi di neve.
Non mi ero mai sentita così. Quel freddo mi appagava. Mi rendeva completa e placava il mio fuoco.
E capii. Nella vita avevo bisogno della neve per il mio fuoco.

Spazio autrice
Dopo questi capitoli mooolto leggeri mi sorge spontanea una domanda. Io super curiosa.
Team Leo o Team Lucas?

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