14. Sulla linea di confine

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E in una guerra tra testa e cuore io stavo sul confine. Mi facevo bombardare, stremare ma andavo avanti. Con un unico obbiettivo: vedere l'alba di un nuovo giorno, solo e soltanto per vedere i suoi occhi perdersi un'ultima volta nei miei.
-Ivory Anderson

Avevo freddo. Mi sentivo avvolta da un manto morbido. Era confortevole e mi sentivo a casa. Ma avevo troppo freddo purché fosse una semplice sensazione. Non me ne resi conto subito, mi accoccolai per qualche altro minuto in quella sensazione così bella, familiare. Cercai Lucas tastando il materasso. Non lo trovai. E la mia mano si affossò. Non si fermò quando venne a contatto con la superficie. Superficie troppo morbida e friabile per essere quella di un materasso. Mi stiracchiai aprendo gli occhi. Quando scrutai l'ambiente circostante era tutto troppo bianco. Non era la mia camera da letto. Ero sulla neve.
Ero ancora in uno stato di dormiveglia, troppo stanca per realizzare razionalmente. Non mi alzai. Mi riaddormentai avvolta da quella sensazione idilliaca.

Lucas
Mi sveglia ancora avvolto da quella da quella sensazione familiare. Io, lei, noi. Il suo tocco, le sue carezze, le mie carezze. Lei che prendeva il mio dolore e lo rendeva proprio e io che sentivo il bisogno di proteggerla da tutto e tutti. Un bisogno radicato nel profondo della mia anima.
Prima di alzarci e iniziare la giornata sentivo il bisogno di abbracciarla un'ultima volta. Di ritagliarmi un nostro ultimo momento prima di tornare alla normalità. La cercai tastando il materasso. Non la trovavo.
«Banphrionsa» mugolai.
Ma non rispose e tutti i miei sensi scattarono.
Mi alzai a mezzo busto ispezionando la camera. Nessuna traccia. Passai a setacciare il bagno. Neanche lì.
Corsi fuori. Cercai per i corridoi. Le stanze più remote e inesplorate. Nelle cucine nessuno l'aveva vista e alcuni si erano preoccupati vedendomi in quello stato. Li rassicurai non volendo recargli altre preoccupazioni. Erano diventati come una famiglia per me. Ero io a dovermi preoccupare per loro.
La mattina facevo colazione con loro ma questa volta non avevo tempo. Mi scusai e corsi fuori. Se non era dentro era sicuramente lì. Doveva esserlo.
La vidi attraverso le vetrate della porta d'ingresso. La spalancai scendendo il più velocemente possibile gli scalini.
«Juliette!» la chiamai.
Mi buttai affianco a lei per controllare i suoi battiti. Erano regolari. La sua temperatura era regolare. Come se non si trovasse nel bel mezzo della neve sotto una nevicata.
Le poggiai la testa sulle mie ginocchia. La chiamavo ma nn rispondeva. E il terrore di un nuovo coma mi assalì.
Poi un lungo respiro. Riprese fiato come appena uscita da una lunga apnea. E si alzò.
La abbracciai. Mi buttai subito nelle sue braccia. Era così bello vedere di nuovo i suoi occhi azzurri.
«permettimi un'altra volta e te ne farò pentire» e la sua risata illuminò tutto l'ambiente circostante.
Rientrammo in casa. Non ci eravamo potuti godere le coccole mattutine e a quanto pare non voleva rinunciarci.
Stavo bene, ero felice. Ma quella maledetta vocina continuava a gongolare a beffeggiarmi.
Volevo prendere le distanze. Volevo rifarlo. Ma sentivo qualcosa di più potente: il bisogno di proteggerla. Forse dovevo proteggerla da me.
Con un braccio sotto di lei e l'altro a mezz'aria con cui lei giocava non potevo non sorridere. Armeggiava con una mano sulla mia tracciando le linee e studiandole.
«Lucas» il mio nome sulle sue labbra suonava diverso.
«perché?» mi chiese.
Ma non riuscii a captare a cosa si riferisse.
Alla fine concluse la sua domanda chiarendo ogni dubbio.
«perché mi illudi? Mi tratti bene, sei gentile poi però mi allontani, sei freddo, scostante mi illudi» adesso mi guardava negli occhi. E mentirle mi risultava impossibile.

Alyssa
Ormai sembrava che nella mia camera fosse passata Mary Poppins. Non c'era neanche più un'oggetto fuori posto tant'è che sarebbe potuta perfettamente essere una di quelle camere esposte da Ikea.
Quando mi svegliai rifeci subito il letto. Dopodiché mi spostai in bagno per farmi una doccia e mettere apposto i pensieri. Una volta fuori riordinai gli shampoo in ordine alfabetico e poi potei prepararmi. Non mi asciugai i capelli, lasciai l'arduo compito all'aria. Juliette mi avrebbe rimproverata perché :"sE nO tI pReNdI lA fEbBrE". Un mezzo sorriso mi scappò pensando alla mia migliore amica. Quando tornai nella mi camera per poggiare il pigiama che avevo meticolosamente ripiegato trovai una piccola scatolina sul mio comodino. Era di velluto bianco. Mi avvicinai per prenderla. La studiai per qualche minuto rigirandomela tra le mani. Allora e solo allora la aprii rivelandone il contenuto. Degli orecchini. I cui pendenti erano due spade. Una più grande e una più piccola e l'elsa di entrambe ricordava quella della mia. Questa volta mi lasciai andare ad un vero sorriso. Non c'era nessun bigliettino ad accompagnarli eppure sapevo perfettamente chi me li avesse lasciati.
Aprii la porta per cercarlo e ringraziarlo ma una volta aperta non ero preparata a quello che avevo davanti.
«Juliette»

Juliette
Il mio incontro con El era stato al quanto destabilizzante. Non mi sarei mai aspettava una rivelazione del genere. E non mi
sarei neanche aspettata di diventare sonnambula.
Mi aveva raccomandata di una cosa:«non parlarne ad anima viva» esilarante il gioco di parole.
Poi aveva aggiunto, dopo una serie di altri dettagli, di scegliere saggiamente di chi fidarmi e di chi sarebbe stato al mio fianco.
Le avevo detto di mia nonna, dei dubbi e dei segreti che sembravano aleggiare intorno alla sua figura. Mi aveva detto di stare serena, era semplicemente preoccupata che ciò che avessi potuto scoprire mi avrebbe portata a finire in pericolo. Più di quanto non lo fossi già.
Mi lasciò con una promessa: ci saremmo riviste.
Aveva anche accennato a una certa situazione e che ne fosse costantemente aggiornata ma non capii a cosa si riferisse.

Alyssa
«Juliette» questa volta però nel mio tono di voce si poteva scorgere un pizzico di terrore.
«Alyssa devi aiutarmi» disse con le lacrime agli occhi.
Non davo affetto. Solo in situazioni di estremo bisogno e a pochi eletti. E lei lo era. Era l'unica a cui l'avessi realmente dato fino a quel momento. Neanche a Marco. A lui lo dimostrano in altri modi.
La abbracciai. E non perché fosse semplicemente la cosa giusta da fare ma perché in quel momento ne sentivo anche io il bisogno. E il dolore scomparì del tutto. Anche quel poco che non ero riuscita a debellare da sola.
«dobbiamo prepararci» le sussurrai staccandomi da lei.
«e come se non sappiamo neanche cosa aspettarci dall'imminente minaccia?»
«dobbiamo dirlo ai ragazzi» ammisi.
Sgranò gli occhi. E non potei darle torto se aveva delle riserve nel fidarsi di Lucas.

Spazio autrice
Non riuscivo a trovare una citazione adatta. Ho sentito io bisogno di crearne una mia.
Siate clementi ahah.

Princess Treatment Where stories live. Discover now