5. I biscotti della felicità

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"Mi ha preso la mano e mi ha portata a vedere com'è fatta la felicità."
Bukowski

«sei sicura di quello che hai visto?» mi chiese per l'ennesima volta Lucas. Continuava a camminare avanti e indietro per l'ufficio di mio nonno, cosa che, tra l'altro, gli avevo già detto mi desse un fastidio tremendo.
«ma perché non mi credi?» gli urlai contro alzandomi dalla nicchia e avvicinandomi minacciosamente a lui. Quei 20 centimetri di differenza scomparirono anzi mi sentii anche più alta di lui in quel momento.
«perché non ti conosco mocciosa» gli diedi una spallata sorpassandolo. Se non me ne fossi andata gli avrei dato un pugno e non sarebbe finita bene.
Mi chiusi a chiave in camera mia. Questa volta però non volevo stare sola per mia spontanea volontà.
Un momento prima ero seduta a terra con la schiena appoggiata alla parte terminale del letto, il momento dopo ero con un pugno dentro il muro e Lucas fuori dalla camera che urlava chiedendomi di aprire perché pensava ci fosse qualcuno.
Aprii la porta. Capì subito che non ci fosse nessuno e che il rumore che aveva sentito era il mio pugno nel muro. Questo lo portò a urlare di nuovo.
«hai finito?» mi guardò sbigottito ancora sull'uscio della porta.
«si» rispose imbarazzato.
«perfetto ora esci» provai a buttarlo fuori ma lui non cedeva. Restava irremovibile.
«no, io resto» provai a spingere anche con la spalla, ma nulla.
«perché?» la mia frustrazione nei suoi confronti continuava a crescere. E più cresceva più sentivo la mia forza crescere.
Non rispose alla mia domanda. Mi sorpassò e basta.
Chiusi la porta dietro di me per poi appoggiarmici. Incrociai le braccia. E alcun tempo continuavo a muovere la gamba per la frustrazione.
Rimanemmo per molto in silenzio.
«contento di questo silenzio imbarazzante?» ringhiai.
«no ma almeno evito che tu dia altri pugni al muro o che ti rechi delle ferite, sai è il mio lavoro»
«è solo una scusa» alzai gli occhi al cielo distogliendo lo sguardo da lui.
«ti piacerebbe?» eh?
Lo guardai sbigottita e il suo ghigno crebbe ancora di più.
Mi sedei accanto a lui e con lo sguardo chino, sussurrando rassegnata, glielo dissi di nuovo «ti giuro che l'ho vista»
«ti credo»

Quella mattino ero andata da mia nonna per raccontarle di Oizys. I ragazzi mi avevamo accompagnata ed erano rimasti davanti la porta.
Appena pronunciai il suo nome si lasciò sfuggire una sfumatura di terrore poi ritrovò la compostezza. A qualcun altro quel dettaglio sarebbe sfuggito ma a me no. Aveva preso troppo alla lettera da bambina la frase "i dettagli fanno la differenza" e quindi avevo imparato e notare tutto, ogni singolo dettaglio, ogni singola sfumatura.
«staremo attenti, ma è una ragazzina» aveva proferito. Ma non le credetti.
«chi è?» la presi alla sprovvista, trasalì.
«chi?» mi domandò allarmata provando a camuffarlo con finta ingenuità.
«Oizys» risposi duramente.
Sbuffò, si portò una mano alla tempia, aveva capito che avevo capito, non avrebbe più potuto mentire.
«chi altri sa di lei? Leo? Lucas?» aprì un fascicolo e fece scattare una penna.
Non esitai, se lo avessi fatto avrebbe capito:«nessuno, solo io» non so perché lo feci ma sentivo di non potermi fidare. E sapevo che se non ascoltavo il mio sesto senso finiva male.
«meglio» concluse abbandonandosi sulla sedia.
«perché?» mi morsi la lingua per quella domanda, la dissi prima che il mio cervello potesse elaborare.
«meno sai meglio è» end of the story.
Ma allora di chi potevo fidarmi?
Mi accompagnò fuori. Leo e Lucas si misero composti davanti a noi:«accompagnatela non ha niente per la scuola» poi rientrò nello studio sbattendo la porta. Oizys sventura. La aveva turbata e non poco.
«devo andare, ho una riunione con gli altri» e così si defilò Lucas ignorandomi.
Presi Leo sottobraccio.

Arrivati nel centro commerciale più vicino andammo dritti in un negozio di abbigliamento.
Come primo outfit provai una gonna nera, una camicia, e un maglione smanicato.
Aprii la tenda e chiesi a Leo cosa ne pensasse.
«fai un giro» lo feci.
«bello» e tornò a guardare il telefono.
Provai un vestito bianco con dei fiorellini blu e un maglione corto azzurro.
Gli chiesi di nuovo che ne pensasse.
Si passò una mano sulla bocca poi non disse altro che:«bello».
Ma non tornò a guardare il cellulare.
Quando uscii la terza volta con un pantalone nero e un body lui era sparito.
Presi il mio cellulare e lo chiamai.
«Leo dove sei?» chiesi uscendo la testa dal camerino controllando se fosse nei paraggi.
«sto arrivando Juju era una cosa importante» tagliò corto riattaccando.
«ciao» dissi anche se non mi poteva sentire.
Due secondi dopo era lì. Con una margherita. Sorrisi involontariamente come un ebete.
«troppo bella per non essere lusingata» si scusò.
Si inchinò incrociando le gambe e porgendomi la margherita.
«mh e mi inviterai al ballo di fine anno?» chiesi prendendola.
«ovviamente my lady»
«grazie ma devi tenerla tu perché non ho ancora finito» gliela ridiedi e provai altri mille vestiti. Uscimmo con 4 sacchetti solo da quel negozio.
Li posammo in auto e continuammo il nostro shopping.
Passammo in cartoleria ma non rimanemmo per molto perché nel tragitto aveo visto una libreria enorme e fremevo dalla voglia di andarci.
Prossima tappa: libreria.
Appena entrata annusai quel profumo che sapeva di casa.
«hai gli occhi a cuore» e come dargli torto.
Prendemmo tutti i libri che avevo già letto, le nuove uscite e le edizioni speciali dei miei preferiti. Gli altri in italiano li avrei ordinati online.
Ogni volta che credevo di aver preso tutto un altro libri attirava la mia attenzione.
Leo mi seguiva e già da un po' non riuscivo a vedere il suo viso. Ah e la casa aera piena di libri miei.
«abbiamo finito» chiedeva ogni tot.
E io:«no».
Uscimmo dalla libreria ad orario di chiusura alle 20. La proprietaria e l'altra ragazza che lavorava là ci aiutarono a portare i libri ed erano così tanti che servirono due viaggi.
In auto Leo guardò i posti dietro sommersi di libri, mi guardò e fece una faccia disperata non resistetti e scoppiai a ridere. Per fortuna avevamo comprato anche delle libreria.
«hai fame?»
«molta» ammisi
Ci fermammo in una pizzeria italiana che per la prima volta era davvero italiana. Una delle pizze margherita migliori della mia vita.
Ne addentai una fetta e la mozzarella continuava a filare, sorrisi.
«aspetta» mi bloccò Leo e prese il suo cellulare.
Mi scattò una foto, «questa va tra i preferiti».
«no!» protestai ridendo. Protesi la mano provando a prendere il suo cellulare.
Lo tirò indietro «no no».

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