Si precipitarono nel salone, dove la loro figlia Elisabetta, avvolta in un trench rosso, li accolse con le braccia sollevate e un sorriso raggiante. I lunghi capelli biondi raccolti in una treccia assunsero dei riflessi ramati sotto la luce del lampadario. Li aveva ereditati da nonno Franco, al contrario di Cat, che aveva preso i capelli castani da loro.

«Tesoro, ti aspettavamo la settimana prossima!»

La strinsero a turno in un abbraccio e la analizzarono dalla testa ai piedi per accertarsi che godesse di buona salute. Non la vedevano da Natale e, nonostante avesse i suoi ventidue anni ormai, restava sempre la loro bambina.

«Lo so, mamma, scusami se siamo arrivati senza preavviso. Volevamo farvi una sorpresa!»

«Volevamo?» si domandarono i coniugi, disorientati.

«Io e Gonzalo!» chiarì la ragazza con un sorriso entusiasta, dando quasi per scontato che capissero di cosa stava parlando.

«Che diavolo è un gonzalo?» bisbigliò Giorgio alla moglie, la quale gli rispose con un'espressione altrettanto smarrita.

Un ragazzo sui venticinque anni che somigliava dannatamente  — ma proprio dannatamente, come dannate erano le anime nell'Inferno di Dante  — al cubano varcò la porta d'ingresso con in mano due trolley di differenti dimensioni. Non ci volle molto per capire che quello di grandezza superiore apparteneva a Elisabetta: era solita portarsi dietro quasi l'intero guardaroba anche quando doveva stare via solo per un weekend.

Il nuovo arrivato aveva i capelli più corti del cubano e dei muscoli meno esagerati, anche se il fisico era sempre ben piazzato, e gli occhi erano verdi, anziché castani; ma i tratti del suo viso ricordavano in maniera spaventosa Er Diablo, nomignolo che Giorgio aveva affibbiato all'insegnante di yoga.

Elisabetta mise il braccio attorno al fianco del ragazzo, che prontamente se la accoccolò al petto.

«Mamma, papà, lui è Gonzalo, il mio fidanzato!» gli annunciò al settimo cielo.

«Buenas noches, piacere de conoscervi» li salutò lui con l'ormai familiare accento spagnolo, sfoggiando la sua dentatura perfetta in un sorriso cordiale.

«È - è - è uguale a Juan coso!» fu l'unica cosa che riuscì a balbettare Giorgio, devastato dallo shock. Agitò anche la mano nella direzione del ragazzo, quasi a voler pregare le due donne di guardarlo bene, come se fosse un fenomeno soprannaturale.

«Sei imparentato con Juan Miguel Gutierrez per caso? Vi somigliate in modo impressionante» domandò infatti sua moglie, anche lei sconvolta dalla sconcertante somiglianza tra i due.

«Es mi hermano! Come fate a conoscerlo?» Anche Gonza coso aveva gli occhi dipinti di stupore.

Ma i prodotti locali vi fanno così tanto schifo? Non poté fare a meno di pensare Giorgio.

«È il mio insegnante di yoga» si limitò a rispondere Veronica, più stralunata che mai.

«Aw, amore, non è fantastico? Conoscono già il testimone di nozze!» pigolò Elisabetta, inspiegabilmente su di giri.

«Testimone di nozze? Di cosa stai parlando, Eli?» Giorgio sperò di aver capito male, perché se così non fosse stato sarebbe presto morto di infarto fulminante.

«Gonzalo mi ha chiesto di sposarlo!» gli mostrò fiera l'anello che portava all'anulare, un solitario di due carati.

«Cos ̶ che ̶ dove...» Giorgio cercò a tentoni qualcosa a cui appigliarsi e dovette sorreggersi al bancone della cucina per non ruzzolare. «Sei incinta?» ululò poi con gli occhi di un invasato, convinto che potesse esserci solamente quel motivo dietro una pazzia simile.

Ira. La Sindrome di Didone (Vol.3)Where stories live. Discover now