22. Lover, You Should've Come Over

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L'unica cosa che Alex riusciva a ricordare di quella camminata, che gli era sembrata più una corsa verso casa, era che faceva molto freddo. Ricordava di aver sbattuto la porta principale, di aver imprecato ad alta voce e di essere corso in camera sua, mentre i suoi genitori si affacciavano da dietro la loro porta, svegliati dal rumore. Ricordava di aver tirato un pugno al muro e di aver imprecato di nuovo per il dolore. Poi non ricordava altro, quindi quando si fu svegliato la mattina dopo con un mal di testa atroce, la mano dolorante e la camera sottosopra, ci mise qualche secondo a collegare.

Sbuffò sonoramente, prima di costringersi a scendere dal letto e trascinarsi al piano di sotto, con occhiaie profonde e sopracciglia aggrottate. Scese i gradini aggrappato al corrimano sotto gli occhi preoccupati di sua madre che chiedeva aiuto silenziosamente al marito, il quale riusciva a risponderle solo con una scrollata di spalle.

Si sedette quasi meccanicamente a tavola, afferrando il pacco di biscotti più vicino e buttandosene uno in bocca.
I suoi genitori replicarono le sue mosse, sedendosi di fronte a lui nel tavolo circolare e scambiandosi un paio di occhiate.

"Non sapevo ti piacessero quei biscotti, tesoro." Aveva mormorato, incerta, la madre, facendo risvegliare Alex da quello stato di trance.
Portò gli occhi sul pacco da cui stava ingurgitando senza pensarci quei frollini e gli tremolò il labbro inferiore. Si portò le mani tra i capelli, appoggiando i gomiti sul tavolo e tirando su col naso.
Odiava quei biscotti. Li aveva sempre odiati e ora li stava mangiando solo perché qualcosa che gli faceva ancora più schifo si ripeteva a intermittenza nella sua testa. "Alex...? Stai bene?" Lui scosse la testa, singhiozzando.

"Sono una persona orribile." La voce gli si incrinò, scuotendo forte la testa. Il mal di testa che ancora lo attanagliava per il freddo della notte prima, gli faceva percepire il capo come una bomba in procinto di esplodere.
Sua madre subito gli pose una mano delicata su una guancia, asciugandogli una lacrima, mentre suo padre gli si avvicinava, incerto ma volendo comunque aiutarlo.

"Non è così, Alex." Disse suo padre con espressione corrucciata. Lui singhiozzò di nuovo. "Che cos'è successo?"

Non rispose, mentre un altro singhiozzo gli scuoteva il petto. Gli sembrava di soffocare, quella sensazione gli ricordò fin troppo ciò che aveva provato quando Matt si era presentato a casa sua senza preavviso. Prese un respiro profondo e si sentì perforare i polmoni con dei chiodi. Si rinchiuse gli occhi con le mani tremolanti e suo padre si allontanò.

"Il concerto ieri è andato male?" Tentò sua madre.

"No..." Tirò su col naso, asciugandosi le
lacrime. Si costrinse e guardare negli occhi sua madre, sebbene la vista fosse appannata e i suoi pensieri, insicuri.

"E allora? Che è successo?" Chiese nuovamente suo padre. "Hai litigato con Matt? Tanto lo sai che alla fine risolvete sempre. Vi siete presi a botte a quindici anni e il giorno dopo eravate ad ascoltare musica in camera tua."

"Non c'entra Matt." Suo padre sospirò, Alex capì che stava perdendo la pazienza. Strinse i pugni, mentre il volto dell'uomo si induriva.

"Invece di farci giocare a Indovina Chi, perché non ce lo dici e basta?" Sbottò l'uomo a braccia conserte. La madre gli rivolse un'occhiataccia e Alex abbassò il capo, alzandosi di scatto e tornandosene in camera sua a passo svelto.
Tanto non avrebbero capito lo stesso.

Si sbatté la porta alle spalle, in quel momento stava odiando i suoi genitori tanto quanto aveva odiato Asia quella notte e quanto odiava sé stesso da quando si era svegliato. O da quando era tornato a casa la notte prima. O da quella mattina dopo la notte al pub ed essere stato trattenuto in centrale. O forse da prima ancora. Forse un po' da sempre.

Si stese di nuovo sul letto e lasciò vagheggiare gli occhi sui poster alle pareti, per poi scendere fino alla scrivania con sopra alcuni foglietti stropicciati, soffermandosi sui vestiti della sera prima sparsi sul pavimento, probabilmente gettati in un impeto di rabbia. Si strofinò il viso frustrato, prima di afferrare il telefono sul pavimento accanto al letto.

Compose il numero e attese, mangiandosi le unghie, che la ragazza rispondesse. Dopo almeno una decina di squilli, finalmente sentì la sua voce dall'altro capo del telefono.

"Ehilà!" La sua voce allegra e spensierata gli fece rizzare le orecchio e Alex si mise subito seduto composto. Tenne il telefono con entrambe le mani, accostandoselo per bene all'orecchio.

"Asia-!" Ma prima che potesse dire qualcosa, lei continuò.

"Sono Asia, al momento non posso rispondere, lasciami un messaggio. A meno che tu non mi voglia vendere qualcosa e in quel caso ho brutte notizie per te: sei nella lista nera, bello!" Poi il messaggio registrato si concluse e lo seguì un rumore metallico prolungato. Il ragazzo si alzò e cominciò a camminare per la stanza.

"Asia, mi dispiace per ieri, richiamami per favore." Lasciò il messaggio e chiuse la telefonata, passandosi una mano tra i capelli ancora scompigliati dal cuscino. Rimase qualche secondo a fissare il cellulare, prima di ricomporre il numero e portare di nuovo il telefono all'orecchio.

"Ehilà sono Asia, al momento non posso rispondere, lasciami un messaggio. A meno che tu non mi voglia vendere qualcosa e in quel caso ho brutte notizie per te: sei nella lista nera, bello!" Di nuovo il messaggio registrato, subito seguito dal bip.

"Asia rispondi, ti prego." Lasciò un altro messaggio. Aspettò altri dieci secondi, poi compose un'altra volta il numero della ragazza.

"Ehilà sono Asia, al momento non posso rispondere, lasciami un messaggio. A meno che tu non mi voglia vendere qualcosa e in quel caso ho brutte notizie per te: sei nella lista nera, bello!"

"Smettila di ignorarmi!" Urlò contro il telefono. "Chi ha sbagliato qui sei tu! Non fare la bambina e rispondi!" Urlò per la frustrazione contro il telefono, solo per essere assalito dai sensi di colpa subito dopo aver chiuso la telefonata ed inviato il messaggio. Compose di nuovo il numero.

"Ehilà sono Asia, al momento non posso rispondere, lasciami un messaggio. A meno che tu non mi voglia vendere qualcosa e in quel caso ho brutte notizie per te: sei nella lista nera, bello!"

"Non volevo urlare, scusami, solo...per favore, richiamami..." Mormorò al telefono, passandosi una mano sul volto, esasperato ed esausto.

Continuò così per altri cinque minuti.

"Ehilà sono Asia, al momento non posso rispondere, lasciami un messaggio. A meno che tu non mi voglia vendere qualcosa e in quel caso ho brutte notizie per te: sei nella lista nera, bello!"

"Ehilà sono Asia, al momento non posso rispondere, lasciami un messaggio. A meno che tu non mi voglia vendere qualcosa e in quel caso ho brutte notizie per te: sei nella lista nera, bello!"

"Ehilà sono Asia, al momento non posso rispondere, lasciami un messaggio. A meno che tu non mi voglia vendere qualcosa e in quel caso ho brutte notizie per te: sei nella lista nera, bello!"

"Ehilà-"

"Ehilà!"

Ehilà. Ehilà. Ehilà.

Sentiva di star cominciando ad impazzire, soprattutto per quel fastidioso, maledetto rumore metallico subito dopo la sua voce. Lanciò il telefono contro il muro all'ennesimo saluto, lasciandosi andare contro la parete e poi sul pavimento. Si incastrò le dita tra le ciocche disordinate e prese un respiro profondo, tentando di calmarsi.

Perché doveva essere sempre tutto così difficile con lei?

Le aveva chiesto solo una cosa, solo di non avere segreti con lui o mentirgli. Era davvero così difficile per lei? Davvero non si fidava per nulla di lui? Si sarebbe dovuto fustigare per meritarsi la sua fiducia?

Districò le dita dai capelli e sospirò, lanciando un'occhiata veloce al telefono sul pavimento nel lato opposto al suo, sperando di vederlo accendersi e mostrargli il nome della ragazza sul display.

Ma non successe.

No Buses || Arctic MonkeysWhere stories live. Discover now