La verità sul caso Harry Quebert

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Tiriamo le somme, iniziando dai lati positivi di questo libro: per essere lungo settecento pagine, si legge che è una meraviglia. Scorre senza problemi, non c'è mai un momento di noia, altro che quelli di Federico Moccia. Detto questo... ora possiamo passare ai lati negativi.

La trama del romanzo è solitamente l'elemento che più viene valorizzato da critica e pubblico, per come riesce a tenere incollato il lettore con i suoi numerosi colpi di scena e ritmo incalzante. Vero. Peccato che, a un esame più attento, sia incredibilmente pieno di forzature che peggiorano mano a mano che si va avanti; specialmente per un giallo investigativo del genere, è una cosa molto grave.

I personaggi sono ovviamente il problema maggiore del libro. Ho avuto l'impressione che l'autore abbia cercato di dare vita a delle figure caricaturali e grottesche come quelle della serie Twin Peaks, ma fallendo miseramente: risultano solo odiosi, stupidi e/o patetici.

Un protagonista sgradevole come Marcus poteva anche starci, ma hanno cannato completamente la sua gestione: viene impostato come se dovesse subire un'evoluzione nel corso della storia, ma di fatto non gli succede, anzi: è un Gary Stu, punto. Nel libro tutti non fanno che osannarlo sotto ogni aspetto – nella personalità, nella determinazione, nella sua professione – e sì, ci sono dei momenti in cui tecnicamente si trova tutti contro e subisce delle "sconfitte", ma non sembra mai risentirne minimamente! Per due volte la città di Aurora se la prende con lui per il libro che sta scrivendo, ma viene perdonato quasi subito in ambedue i casi e, comunque, Marcus non dà prova di soffrirne in qualche modo! Lo stesso vale per quando Harry gli si rivolta contro, o Erne, o qualsiasi altro personaggio.

È vero, gli vengono rinfacciati i suoi errori, ma Marcus non sembra prenderne una vera consapevolezza, né deve fare ammenda per quello che ha fatto. Prendiamo la storia del Formidabile che lo ha reso un successo a scuola: lui non ha mai ammesso a nessuno i suoi imbrogli (a parte Harry, che però sicuramente è l'ultima persona che può permettersi di indignarsi), non prova nemmeno vergogna nel ricordarsi quello che ha fatto. Oppure ancora: nel libro viene rimarcato come Marcus abbia agito da stronzo egoista abbandonando completamente Harry – il suo mentore e migliore amico – dopo il successo ottenuto con il suo primo romanzo, tornando da lui solo per elemosinare aiuto quando gli è venuto il blocco dello scrittore. Ebbene... a cosa è servito? A niente: nel corso della storia a Marcus viene rinfacciato questo suo comportamento almeno due volte, ma lui non esprime pentimento, non si scusa con Harry, nemmeno trova una giustificazione per quello che ha fatto.

Inoltre, come personaggio investigativo, Marcus fa semplicemente schifo. Non ha alcuna abilità particolare, si limita ad andare dalle persone a fare delle domande e loro gli rispondono, trova fortuitamente degli indizi grossi come case letteralmente con il minimo sforzo e si fa aiutare da Perry, un poliziotto che ha deciso di coinvolgerlo nelle indagini senza nessuna ragione logica. Eppure tutti, Marcus stesso incluso, si comportano come se lui fosse il nuovo Jessica Fletcher.

Harry, non parliamone: un individuo viscido, penoso e, alla luce delle rivelazioni finali, davvero ipocrita. Eppure, il libro si ostina a ritrarlo sotto una luce forzatamente tragica, come Marcus che, sul finale, gli assicura che non importa se ha ottenuto un successo mondiale rubando il libro di un uomo morto, lui comunque è un grandissimo scrittore. Ah, davvero? E allora perché l'unico suo romanzo di vero successo è stato L'UNICO che non ha scritto lui? Poi, ripeto: Harry sostiene di essere stato tormentato tutta la vita per essersi appropriato di un romanzo non suo, eppure nel libro ciò non traspare minimamente: soprattutto nelle scene flashback viene ritratto come un uomo fortemente sicuro di sé, che si atteggia come se sapesse tutto dei libri e della vita. Lui. Che – RIPETO – ha ottenuto una fama mondiale immeritata rubando il romanzo di un uomo morto. E di una ragazzina, a pensarci bene, dato che Le origini del male conteneva lo scambio epistolare tra Luther Caleb e Nola.

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