39. "Non l'hai ancora capito? I buoni sono i cattivi"

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Signore guardami dagli amici,
che dai nemici ci penso io.

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«Shh, fai piano. Credo si stia svegliando.»

Mi trovavo ancora avvolta nel buio tetro quando una voce sconosciuta mi accarezzò debolmente i sensi. Era tenue e lontana, così lontana che temetti di essermela persino immaginata.

Tentai di aprire gli occhi, ma fallii subito. Ci provai ancora, concedendomi del tempo per riprendere conoscenza, ma risvegliarsi stava risultando davvero ostico.

Era come ci fosse una forza irreale che mi costringeva al sonno. Sentivo come delle catene che non esistevano e un desiderio di dormire che non provavo.

«Sbaglio o avevi detto che ci sarebbero volute ore prima che riuscisse a svegliarsi?»

«È così, infatti è strano il contrario. Chi è questa ragazza? E si può sapere perché diamine la stiamo controllando? È rinchiusa, non se ne andrà di certo in giro.»

«Vattene se vuoi, basta che la finisci di piagnucolare. La guardo io, ma sai bene a cosa vai incontro. Lui ti spaccherà il culo se lo viene a scoprire.»

Sentii gli ingranaggi del mio cervello fibrillare e all'ennesimo tentativo, uno spiraglio di luce s'infilò fra le ciglia. Feci scorrere le pupille stordite sul cemento a terra e la prima cosa che notai furono due paia di scarpe dall'altra parte delle sbarre.

Un paio di scarpe da ginnastica e un paio di stivaletti neri coi lacci sciolti liberi a penzoloni. Chi erano queste persone?

«Cosa dovremmo fare? Lo chiamiamo?» proseguì uno dei due, quello con la voce più calma.

Premetti i palmi sul cemento freddo su cui ero stesa e mi sollevai. Sbattei le palpebre più volte per mettere a fuoco il luogo che mi circondava, ma sentivo una strana sensazione continuare a opprimermi il cervello.

Era buio, la poca luce filtrava da dietro alle sbarre della cella in cui mi trovavo. Un buco rettangolare, stretto lateralmente e con niente al suo interno che non fossi io.

Collegai lentamente i puntini che mi avevano portata lì e alla realizzazione seguì il panico, che prese a crescere secondo per secondo.

«Ben svegliata.» mormorò il primo, quello più vicino alle sbarre. Piegato sulle gambe, mi fissava attraverso lo spazio fra una sbarra e l'altra. Non riuscivo a vederlo in viso, si trovava in controluce.

Mi misi a sedere e poi ancora, facendo attenzione a non farmi incombere dal mal di testa, mi sollevai completamente.

«Ma sa parlare?»

Il secondo, al contrario del primo, aveva una voce fredda e graffiante, quel tipo di voce che si odiava al primo ascolto.

«La smetti, Mason? Deve sentirsi disorientata, il viaggio di ritorno è stato piuttosto tortuoso.»

Unlimited - La paura dell'ignotoDove le storie prendono vita. Scoprilo ora