Il volto di uno sconosciuto si affaccia sull'apertura. «Presto, ragazzina! Che cosa stai aspettando? Muoviti!» grida.

Smetto di ragionare e mi lancio sull'apertura. Il tizio, alto e prestante, molla a terra il martello di un equipaggiamento di pronto intervento calamità naturali che non so come abbia reperito, e mi porge la mano. Per un momento mi domando con quale nome presentarmi, ma subito mi agguanta il polso e mi trascina.

«Corri!» ordina.

In pochi secondi raggiungiamo una folla di deportati che si lancia in rapidità giù dal vagone.

Ma non possono farlo, mi dico agghiacciata, non possono evadere, è contro il regolamento... insomma, loro non hanno le mie valide ragioni, stanno solo infrangendo il codice, dovrei fermarli.

Una donna grida da lontano: «Fate presto! Stanno ripristinando la barriera!».

Giurerei che fosse la voce di Lauta 4.

«Saltiamo!» ordina l'uomo che non molla la presa sul mio polso.

«Mi scusi, ma voi non avete il diritto di...»

Mi strattona di colpo e mi trovo a volare insieme a lui oltre il binario mentre alle nostre spalle alcuni lottano contro i robot. Finiamo a terra e rotoliamo sul pietrisco che mi ferisce la pelle delle ginocchia e delle braccia, ma non ho modo di osservare il danno e né di avvertire il dolore, sono sconquassata. Mi tiro in piedi in una vertigine, perdo l'equilibrio e questo tizio continua a tirarmi per impedirmi di restare indietro. Mi volto solo un istante per assistere sconvolta all'elettrificazione dell'ultimo drappello di fuggitivi che è stato colpito dopo essere stato respinto dalla bolla. Per un soffio l'abbiamo scampata. Spero che Lauta non fosse tra loro. La barriera elettromagnetica è di nuovo in funzione. Vedo gente rimbalzarci contro e venire uccisa.

«Di qua, presto!» ci indica un uomo.

«Non c'inseguono» urla un altro, in testa alla fila. «Non hanno l'autorità di lasciare il convoglio. Per il momento siamo salvi. Dobbiamo solo trovare un nascondiglio.»

Un altro indica una strada. «Venite! Meglio attraversare la periferia, è meno pericolosa.»

Marciamo tutti insieme uno accanto all'altra per alcune decine di metri, osservando ogni direzione per non finire nel mirino di qualche controllore di zona.

«Non posso credere» dice qualcuno a un tratto, «che siamo evasi. Stamattina mi credevo spacciata e ora sono libera.»

Un'altra voce femminile alle mie spalle replica: «Avete capito cosa è successo? Pare che sia stato uno dei robot di tipo zero presente sul convoglio a suggerire ai primi scomparti la fuga, ha comunicato loro che il treno stava effettuando la sosta e ha lasciato aperte le cabine senza sigillarle dall'esterno.»

«Ma cosa dici?» domanda un uomo. «Un robot?»

«Sarà stato un errore di sistema» gioiscono in due, «meglio così!» ridono.

Un errore di sistema è improbabile, mi dico, e in ogni caso non credo a una parola. Una IA, per quanto basilare, non favorirebbe mai un'evasione, è una follia solo pensarlo. È impossibile. La loro rete neurale è controllata da una stazione centrale, se avesse infranto il codice sarebbe stata subito disattivata. Ma questi qui che cosa ne possono sapere. Sospiro. In ogni caso, ora che sono qui, devo mantenere un profilo basso, non approvo la diserzione immotivata da parte di questi adulti ma allo stesso tempo la ritengo provvidenziale per mimetizzarmi e oltrepassare la città senza essere riconosciuta. Dovrò solo evitare di entrare in confidenza con loro.

Un uomo alto e zoppicante ride sonoro e dà pacche sulle spalle a tutti gli altri canticchiando una specie di canzoncina improvvisata: «La bolla si è disattivata e siamo scesi, mai fortuna fu più sfacciata, non ci siamo arresi! Ora siamo liberi!».

Middle Ground Chronicles - SELINAUnde poveștirile trăiesc. Descoperă acum