𝓒𝓪𝓹𝓲𝓽𝓸𝓵𝓸 32

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"𝐍𝐨𝐧 𝐚𝐩𝐩𝐫𝐞𝐳𝐳𝐢 𝐦𝐚𝐢 𝐥𝐞 𝐜𝐨𝐬𝐞 𝐜𝐡𝐞

𝐡𝐚𝐢 𝐟𝐢𝐧𝐜𝐡é 𝐧𝐨𝐧 𝐥𝐞 𝐩𝐞𝐫𝐝𝐢"

(𝐊𝐮𝐫𝐭 𝐂𝐨𝐛𝐚𝐢𝐧)

『♥』

𝘈𝘵𝘵𝘦𝘯𝘻𝘪𝘰𝘯𝘦, 𝘤𝘰𝘯 𝘲𝘶𝘦𝘴𝘵𝘰 𝘤𝘢𝘱𝘪𝘵𝘰𝘭𝘰 𝘴𝘪 𝘱𝘰𝘵𝘳𝘦𝘣𝘣𝘦 𝘶𝘳𝘵𝘢𝘳𝘦 𝘭𝘢 𝘴𝘦𝘯𝘴𝘪𝘣𝘪𝘭𝘪𝘵à 𝘥𝘪 𝘲𝘶𝘢𝘭𝘤𝘶𝘯𝘰, 𝘴𝘦 𝘢 𝘶𝘯 𝘤𝘦𝘳𝘵𝘰 𝘱𝘶𝘯𝘵𝘰 𝘥𝘦𝘭𝘭𝘢 𝘭𝘦𝘵𝘵𝘶𝘳𝘢 𝘯𝘰𝘯 𝘵𝘪 𝘴𝘦𝘯𝘵𝘪 𝘥𝘪 𝘱𝘳𝘰𝘴𝘦𝘨𝘶𝘪𝘳𝘦, 𝘴𝘦𝘯𝘵𝘪𝘵𝘪 𝘭𝘪𝘣𝘦𝘳𝘰 𝘥𝘪 𝘧𝘦𝘳𝘮𝘢𝘳𝘵𝘪, 𝘵𝘳𝘰𝘷𝘦𝘳𝘢𝘪 𝘢 𝘧𝘪𝘯𝘦 𝘤𝘢𝘱𝘪𝘵𝘰𝘭𝘰 𝘶𝘯 𝘳𝘪𝘢𝘴𝘴𝘶𝘯𝘵𝘰 𝘱𝘰𝘤𝘰 𝘥𝘦𝘵𝘵𝘢𝘨𝘭𝘪𝘢𝘵𝘰.

『♥』

Trascorremmo il resto del viaggio mettendo da parte mamma e Joseph, così la lasciai parlare della sua situazione universitaria, delle nuove amicizie e della sua situazione sentimentale. Arrivammo a Firenze che erano le 7:10 e quando scendemmo dal treno, ci facemmo una lunga camminata di un quarto d'ora verso l'ospedale Santa Maria Novella. Rimettere piede nella mia città natale è sempre un piacere, circondata da quei monumenti storici ricchi di culto e fascino, li ho sempre sentiti parte di me. Se non mi fossi avvicinata al mondo della danza forse a quest'ora starei facendo qualche master in un'accademia d'arte. 

Chiamai papà quando entrammo nella struttura ospedaliera, iniziando già a sentire ansia e agitazione, lui mi rispose subito dicendomi il piano da raggiungere e il lato su cui era collocata la stanza di mia madre, così, io e Irene salimmo i due piani che ci aspettavano. Avevo ancora 20 minuti per vederla prima che la scendessero in sala operatoria.

Adocchiai papà fuori dal corridoio che faceva avanti e indietro nervosamente, indossava una camicia scura e una giacca elegante del medesimo colore, i capelli brizzolati, corti e barba rada ormai tendente al grigio. Si fregava le guance con la mano e quando alzò lo sguardo cervone su di me tirò un sospiro di sollievo. Gli corsi incontro sperando che qualche infermiere non mi vedesse fare lo slalom tra carrelli di terapie e panche, lo vidi aprire le braccia e colsi l'occasione per buttarmici contro. 

«Hai fatto in tempo, finalmente», mi disse stringendomi forte le braccia attorno alle spalle, «tua madre ti sta aspettando, ha già il camice e le hanno messo l'ago cannula nella mano», mi batteva forte il cuore dall'agitazione. 

Fermai un'infermiera chiedendole se potessi entrare nella stanza e che ero la figlia della paziente, lei mi sorrise dolcemente e mi accompagnò fino all'uscio lasciando me e mia madre da sole. 

La vidi seduta sul letto che guardava l'orologio sul muro, bianca come un foglio di carta, ma non sembrava stare male, forse la febbre era scesa, teneva la cuffietta in testa, nonostante entrambe sapevamo bene che non ne avesse bisogno. I capelli li aveva persi già da un po' di tempo, così come le sopracciglia, le ciglia e la peluria sul corpo. Appena si rese conto della mia presenza, il suo viso stanco si illuminò regalandomi un sorriso. 

Sperai soltanto non fosse l'ultimo, avrei voluto farle una foto, ma poi mi dissi che era meglio non farlo, che semmai fosse successo qualcosa, era meglio ricordarla quando ancora stava bene.

𝔇𝔞𝔪𝔪𝔦 𝔲𝔫𝔞 𝔰𝔢𝔠𝔬𝔫𝔡𝔞 𝔭𝔬𝔰𝔰𝔦𝔟𝔦𝔩𝔦𝔱à ♥ 𝓗𝓸𝓵𝓭𝓮𝓷Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora