Capitolo XIV | Dove ricomincio a respirare

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Al posarsi delle sue labbra calde sulla mia guancia, sentii qualcosa che iniziò a prendere forma dentro di me.

Un'euforia strana che mi pulsava dentro le vene e che non riuscivo a controllare. Mi riempiva il petto, mi stordiva e mi faceva sentire l'urgenza di lui, della sua pelle e delle sue labbra.

Avrei voluto baciarlo e rispondere di sì, dimostrare la mia fiducia in lui in qualsiasi circostanza. Avrei voluto dirgli che nonostante lo conoscessi da poco più di un mese e nonostante odiassi il suo dannato ciuffo, il suo sorriso perfetto e quelle nauseanti fossette, era l'unica persona a cui avrei affidato la mia stessa vita.

Maledissi la mia incapacità di esprimere chiaramente ciò che provavo in quel momento. I sentimenti si erano trasformati in un groviglio confuso di emozioni, difficili da districare con le parole.

Abbandonarmi alla passione sarebbe stato molto semplice, come era altrettanto semplice in altri momenti, lasciarmi sopraffare dalla rabbia.

Erano le emozioni di mezzo che mi fregavano, tutte le sfumature di grigio tra il bianco e il nero che non ero mai riuscito a gestire prima.

Così, nonostante ogni singolo neurone stesse incitando la mia bocca a spingere sulle sue labbra scarlatte, restai fermo e lo seguii in silenzio per le scale.

Isaac non era come tutti gli altri ragazzi con cui avevo scopato in precedenza. Era equilibrato, intelligente, colto e brillante. Sembrava conoscere cose che andavano oltre gli studi e l'aristocrazia ed io mi sentivo attratto da lui come una bussola verso il nord, come un pianeta dalla gravità di una stella, impossibile sfuggire al suo campo di forza.

Ogni gradino scricchiolava sotto i nostri piedi, le pareti ormai logore svelavano i segni del tempo e dell'abbandono e lui sembrava trovare fascino in ogni minimo dettaglio.

Arrivati in cima, ci ritrovammo in una stanza illuminata soltanto dalla luce fioca della luna che filtrava attraverso le finestre polverose. Diversi strumenti erano disseminati per tutto il perimetro, coperti da vecchi teli e qualche ragnatela.

Isaac, con il suo passo sicuro, si diresse verso il centro della stanza, dove una piccola scala a chiocciola portava ad un soppalco proprio sotto l'apertura del tetto. Le sue mani si sollevarono in un gesto fluido aprendolo abbastanza da svelare gran parte del cielo notturno sopra di noi.

Senza dire una parola, si lasciò cadere lentamente sul parquet consumato dal tempo, con le mani dietro la testa e i piedi incrociati. Il suo ciuffo ribelle si stagliava in modo disinvolto, quasi come una sfida al mondo circostante.

Io rimasi fermo al lato della stanza, osservandolo con una mescolanza di stupore e curiosità. Dopo pochi secondi alzò le spalle da terra, abbasso lo sguardo e si voltò verso di me, invitandomi silenziosamente a raggiungerlo.

Io ero rimasto immobile; continuavo a guardarlo pentito di non averlo baciato, di non aver dato retta a quei neuroni che mi avevano suggerito di prenderlo per le spalle, spogliarlo dai suoi vestiti e spingerlo contro la parete per farlo mio all'istante.

«Che ci fai lì impalato? Vieni qui.» Sorrise. Il tono della sua voce dolce come una melodia.

Ritornai alla realtà, obbedii e salii quei pochi gradini che ci separavamo. Poi mi distesi accanto a lui, sentendo il pavimento rugoso e freddo sotto di me.  Lui si voltò nuovamente verso il cielo e io rimasi fermo sul fianco, con un gomito a terra e la testa delicatamente poggiata sul palmo della mano.

Imbambolato come uno scemo, ammiravo l'unica cosa che in quel momento superava di gran lunga la magnificenza di quel panorama notturno.

La luce chiara delle stelle si riversava nella stanza illuminando il profilo di Isaac; i riflessi dei capelli, le folte ciglia, la linea dritta del naso, le labbra carnose, il mento. Poi poco più giù, il pomo d'Adamo accentuato, il tessuto della camicia, la cintura che circondava la vita stretta, il cavallo dei suoi pantaloni.

«Come hai trovato questo posto?» Lo dissi sussurrando, quasi a non volerlo interrompere mentre con lo sguardo si perdeva nell'immensità del cielo.

«Ultimamente non riesco a dormire.» La voce calda venne fuori dalle sue labbra appena schiuse, mentre i suoi occhi erano rimasti incollati alle stelle. «L'altra notte ero uscito a prendere una boccata d'aria e a fare una passeggiata. Mi sono imbattuto per caso in questo posto e da quel momento è diventato il mio secondo luogo preferito dove i pensieri smettono finalmente di tormentantarmi.»

«E perché non sei andato direttamente nel tuo primo luogo preferito?»

«Perché mai avrei dovuto disturbarti nel bel mezzo della notte? Sarebbe stato alquanto inopportuno...»

«C-che vuoi dire? Cioè, io...» Il cuore mi correva nel petto.

«Voglio dire, Henry, che il primo luogo in cui sarei voluto andare sarebbe stato ovunque, ma accanto a te.» Il suo sguardo si posò sul mio. Mi sentii accarezzare l'anima dalle sue ciglia. «È lì che smetto di pensare e ricomincio finalmente a respirare.»

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⏰ Last updated: Apr 07 ⏰

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