Capitolo XIII | Ti fidi di me?

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«È un no! Categorico.» Protestai, cercando di far riflettere mia madre sulle conseguenze che la sua richiesta avrebbe avuto sulla mia reputazione.

«Non te l'ho chiesto, Henry. È un ordine.» La sua figura era di un'eleganza innata, dai capelli impeccabilmente pettinati fino al vestito verde scuro che esaltava la sua nobiltà.

«Ma è ingiusto! Alexander è una serpe, mi ha provocato, sapeva che mi avreste dato la colpa...»

«Sono stanca di sentire giustificazioni! La nostra famiglia ha moltissimi, innumerevoli interessi economici con la famiglia Spencer. Dovrai fare pubbliche scuse formali al marchese, ad Alexander e alla Contessa Brandons, durante un incontro ufficiale. Questo è quanto. Non accetto obiezioni.»

«D'accordo, mamma.» Sibilai, sapendo che resistere sarebbe stato ormai inutile.

«Incontrerai gli Spencer all'incontro del mese prossimo. Ricorda che ti è vietato uscire dall'università fino a nuovo ordine. Studiare, dormire e non cacciarti nei guai saranno le uniche tre cose a cui devi pensare. A presto, Henry.»

Con quel saluto formale, la nostra conversazione si concluse, ma il peso delle sue parole continuò a risuonare nella sala dei ricevimenti della St.Andrews, testimone silente del destino che mi attendeva.

Mia madre rispecchiava in modo sorprendente l'indomito spirito di mio padre. Le loro somiglianze, a volte sfuggite agli sguardi superficiali, emergevano con chiarezza nei momenti cruciali.

Subito dopo, rientrai con foga nella mia stanza, lasciandomi cadere pesantemente sul letto. Ero arrabbiato, anzi furioso. Erano passati diversi giorni dalla lite con Alexander ma mi sentivo tradito dalla mia stessa famiglia e sembrava come se in quel momento il mondo intero stesse cospirando proprio contro di me.

«Che fai, non vieni? Non vorrai mica perderti il Winter Fest?» Barclay, uscito appena dal bagno, si stava vestendo in tutta fretta. Il suo sguardo curioso incollato a me.

«Non infierire, Barclay. Non posso. Se metto soltanto un piede fuori dall'università molto probabilmente i miei mi rinchiuderanno in una delle sale del palazzo di Edimburgo fino al giorno della mia morte.»

«Non essere così drammatico!»

«Fidati, non lo sono.» Mi trovai a rispondergli con uno sguardo vuoto, come se cercassi di trattenere un'ondata di pensieri tumultuanti.

Barclay lanciò una fugace occhiata verso di me, mentre le pieghe della sua camicia si allineavano ordinatamente.

«Non arrabbiarti troppo, Henry!» La sua voce era morbida, un'offerta di sostegno implicito.

Gli risposi con uno sguardo che cercava di esprimere gratitudine mentre usciva dalla stanza con un'ombra di comprensione nei suoi occhi.

Mi passai una mano sfinita attraverso i capelli, come se volessi spazzare via fisicamente la confusione che si era impadronita della mia mente. Con un sospiro, mi sfilai le scarpe e mi allungai verso la scrivania per afferrare il libro di Dumas, dalla copertina ormai malconcia. Se il Winter Fest risultava un'opzione irraggiungibile, allora era il momento perfetto per portarmi avanti con letteratura.

Cominciai a leggere lasciandomi trasportare dalla storia di Marguerite, tra strade parigine e descrizioni ottocentesche.

Le parole danzavano davanti ai miei occhi stanchi, sfumando in una strana nebbia. La luce fioca della lampada creava ombre danzanti sulle pagine del libro. Dopo un breve istante, tutto si fuse in una nebulosa indistinta, e mi ritrovai in un limbo sospeso, dove il confine tra le parole lette e i pensieri assopiti diventava sempre più sfumato.

La Costellazione di OrioneWhere stories live. Discover now