10 - ISMEL (2)

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Distrutta la grossa... "chiesa" decise di fermarsi. In lontananza scorgeva persone che correvano, urlando disperate, ma non si curò di loro. Almeno per il momento. Aveva perso una minuscola, misera, impercettibile parte di energia, e farlo gli aveva procurato una soddisfazione enorme. Ma ora basta! Non voleva più sprecarne nemmeno una singola scintilla. Doveva cominciare a fare quello per cui era venuto. E adesso era pronto! Sganciò i pannelli e la torre, li rimpicciolì e li fece entrare nella palla, riducendola alle dimensioni necessarie, chiudendo nel contempo anche le fessure che aveva aperto, per farle assumere quell'espressione divertente. Poi schizzò su nel cielo, a velocità supersonica. La città divenne velocemente sempre più piccola sotto di lui e quando si fermò vedeva solamente una macchia grigia in mezzo a tanto verde. Rimase alcuni minuti in contemplazione, ancora meravigliato di quello che l'energia rossa, così violentemente e ingiustamente sbattuta fuori dal suo mondo, era riuscita a creare. Nella sua furia, nella sua disperazione, era riuscita a modellare tali bellezze! Ancora una volta si fece trasportare da quei pensieri e arrivò quasi a provare una punta di rimorso per quello che aveva fatto e che era in procinto di fare. Era potente quell'energia... potente... molto potente... il potere... Lei! L'ha preso tutto lei! E io me lo devo riprendere! Doveva smetterla con quegli strampalati pensieri che gli venivano. Doveva compiere un lavoro e il primo passo era parlare con loro, per poi renderli muti, ciechi e sordi. Concentrò l'energia contro le pareti interne della palla: una serie di onde invisibili si propagarono nell'aria, talmente veloci che nemmeno Ismel si accorse che erano partite e, in una frazione di secondo qualsiasi strumento che permetteva loro di... "comunicare", smise di funzionare. Davanti ai suoi occhi baluginarono diverse parole nuove... "satelliti"... "antenne"... "ripetitori". Zittì tutto. Allo stesso tempo prese il comando di ogni aggeggio che avesse uno... "schermo". Voleva continuare a divertirsi, per questo aveva deciso di tenere un tono scherzoso, sia nella voce, sia nelle parole, per prenderli un po' in giro. Tanto a breve non si sarebbero più ricordati di nulla. Piccoli esserini patetici! Si scelse anche un nome, un concetto del tutto nuovo per lui. Nel suo mondo non esistevano, perché non c'erano corpi, né volti. E proprio dal volto prese ispirazione, dalla faccia che aveva mostrato loro. Loro lo chiamavano "SMILE" come gli suggerì l'energia rossa. E per confonderli ulteriormente, lo rimescolò!

«Buongiorno a tutti! Eh, eh, eh! Mi sentite vero?»

Sentì l'energia sfrigolare in lui quando iniziò.


Era giunto il momento! Aveva appena smesso di parlare e gongolava al pensiero di quanto potessero essere terrorizzati in quel momento. "E ancora non avete visto nulla!". Un impalpabile sentiero cominciò a dipanarsi dalle pareti della palla, simile a quello che era stato costretto a seguire, ma completamente invisibile. Serpeggiando nel cielo arrivò alla grotta, immergendosi fin giù nella galleria, fino alle radici della montagna. Una miriade di microscopiche sferette, posate sul fondo della caverna, si mossero, presero a tremolare, impercettibilmente all'inizio, svegliando col loro flebile ma costante suono uno stormo di pipistrelli che dormiva a testa in giù. Il suono aumentò, sempre più, fino a diventare un ultrasuono, sottile e acuto; quindi le sfere presero il volo, seguendo la via creata per loro. I pipistrelli, spaventati, cominciarono a svolazzare a caso nella grotta, sbattendo contro le pareti in un rumore confuso di ali, come se il loro sonar si fosse zittito, rendendoli ciechi, non solo negli occhi. In un attimo la grotta si svuotò e il silenzio, cavernoso, tornò a regnare; sul fondo della grotta i pipistrelli giacevano morti.

Veloci come il vento le sfere raggiunsero la palla, bloccandosi all'istante sopra di essa e creando un'enorme massa nera che vibrava e ronzava, come uno sciame di api in attesa di calarsi su un prato fiorito. La palla cominciò a scendere a velocità vorticosa, polverizzando all'istante alcuni elicotteri che volavano sopra Bologna. Si fermò di colpo a qualche metro da terra e ricoprì tutta l'area con un'enorme bolla arancione. Per un istante Ismel contemplò sorridendo la devastazione che aveva prodotto. Pietre, vetri rotti, pezzi di palazzi, crateri e migliaia di quegl'individui stritolati, schiacciati, tagliati. Qualcuno ancora si muoveva, qualcuno piangeva e gridava, e la quiete sopraggiunta dopo i boati, aveva un che di terrificante che gli procurava gli stessi piaceri provati sulla montagna. Erano arrivati i primi soccorsi: delle ambulanze, e persone che si erano allontanate in tempo prima dell'attacco. Si aggiravano tra le macerie, cercando, spostando, piangendo. La furia lo colse: si vedeva costretto a sprecare altra preziosa energia per colpa di quegli stupidi, ma non aveva scelta. Avvolse tutto con un manto in cui concentrò tutta la rabbia e tutta la potenza che poteva, e all'istante ogni maceria, ogni persona, ogni cosa si polverizzò in una nuvola di terra, che salì verso l'altro sbuffando, quasi a toccare la sommità della cupola, emettendo una bassa vibrazione che rombò per qualche secondo, per poi svanire in un profondo stappo, come se un'enorme bottiglia di vetro fosse stata improvvisamente aperta. La polvere ricadde, creando un campo compatto e perfettamente battuto, che si ricoprì subito d'erba.

VuEffe (parte 1) - Il sorrisoDove le storie prendono vita. Scoprilo ora