6 - UNA NUOVA MAMMA (1)

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Roberto stava salendo le scale del condominio per tornare nell'appartamento a prendere le chiavi della macchina e un po' di indumenti, in vista della lunga "vacanza" che li aspettava. Aveva sedato a fatica le proteste di suo figlio, intenzionato ad andare lui, poi si era avviato.

La sala di casa sua aveva un grosso buco al posto della finestra e sapeva che ce n'era un altro, altrettanto grosso, nello studio. La cupola era davanti a lui e l'uomo era fermo, ritto a far da guardia. Roberto si sentiva nudo ed esposto. Il più velocemente e silenziosamente possibile attraversò la stanza, dirigendosi in camera. Sul letto matrimoniale che per tanti anni aveva condiviso, spesso molto piacevolmente, con la sua Lina, c'era ancora il borsone che lei stava riempiendo meno di due ore prima; sembravano passati secoli. Si sedette un momento, sapendo che non aveva il tempo per farlo, ma ne aveva bisogno. Prese il cuscino di sua moglie e stringendolo al petto, pianse.

Tolse i vestiti di Lina dal borsone, lasciando i suoi. Aprì l'armadio e tirò fuori alla rinfusa magliette e pantaloni, dal cassetto prese la biancheria intima, e ficcò tutto nella borsa. Preso un altro borsone, corse in camera di Andrea e fece lo stesso con la sua roba. Passando dal bagno prese i due spazzolini e rovesciò nel secondo borsone, ancora aperto, il contenuto della scatola dei medicinali. Si guardò il graffio sulla gamba: non sanguinava già da un po' e, fortunatamente, non gli faceva molto male. Era superficiale, ma per sicurezza ci versò sopra un po' di disinfettante. Ritornò furtivamente all'entrata e si infilò in tasca le chiavi dell'auto, posate, come sempre, in un cestino su una piccola mensola di vetro, proprio all'ingresso. Uscì, ma subito si bloccò: i caricabatterie! Si era rammaricato di non averli presi e, visto che era dovuto tornare lì... Posò i borsoni e imprecando a bassa voce riattraversò la sala. Stava chiedendo troppo alla fortuna? Sperava di no! Trovò il suo in un lampo, dentro a un cassetto dello studio dove lo aveva lasciato. Contemplò il suo pc per mezzo minuto pensando alle sue storie. Aveva la fortissima tentazione di accenderlo e infilarle tutte in una chiavetta USB, ma lasciò perdere. Il suo computer, vecchio e lento, impiegava quasi tre minuti per essere pronto all'uso, e lui aveva già perso abbastanza tempo. Aveva trascritto i suoi racconti per fissarli sulla carta (o sullo schermo), per dargli un'identità definita come se fossero scolpiti nel cemento, ma, evidentemente, era destino che vivessero solo nella sua testa, dove, come palle di gomma rimbalzanti, potevano cambiare direzione ogni volta lui lo desiderasse.

Per trovare il caricabatterie di Andrea impiegò qualche minuto. Il disordine adolescenziale non l'aiutò molto, ma alla fine spuntò da una delle tasche dello zaino di scuola. Tornò all'uscita e se ne andò, senza curarsi nemmeno di chiudere la porta, per non fare ulteriore rumore. Mentre si stavano calando dal terrazzo, meno di un'ora prima, aveva avuto la sensazione che non avrebbe più rivisto la sua casa. Ora ne aveva la certezza. Quel robot gigante, il messaggio, le sentinelle, Lina, così vicina eppure così irraggiungibile... Sentiva che la sua vecchia vita era finita. Ora ne stava iniziando un'altra, che aveva un unico, importante scopo: proteggere Andrea, in qualunque modo potesse farlo, per permettergli di avere un futuro, possibilmente dignitoso. Anche se cercava di non darlo troppo a vedere, il suo cuore soffriva da morire per Lina. L'amava ancora tanto, anche se non era più l'amore giovanile, traboccante di passione, entusiasmo e vivacità. Come in tutti i rapporti lunghi era subentrata ormai l'abitudine, la passione era diventata affetto. Ma l'amore non era mai passato, anzi, si rafforzava sempre più. Da giovani, appena conosciuti, si divertivano a inventare i paragoni più buffi per descrivere il loro rapporto. Il più delle volte dicevano delle sciocchezze e ridevano fino alle lacrime. Ma un giorno Lina azzeccò la metafora giusta: «Il nostro amore è come un bombolone troppo ripieno di crema» Roberto l'aveva abbracciata, dicendole che aveva descritto esattamente quello che lui provava per lei. Invecchiando insieme, erano cambiati insieme. E come cambiava il fisico, così cambiavano i sentimenti. Loro avevano assecondato questi cambiamenti, ed erano felici. Roberto stava vivendo, in quel momento, due sofferenze: quella di non avere la sua ragazza vicino, ma anche quella di vederla, là, inerme, e non potere fare niente per lei. Questo era insopportabile. Nonostante avesse detto a suo figlio che l'unico modo per sperare di salvarla fosse, per il momento, che si salvassero loro, era stato molte volte sul punto di mollarlo e correre da lei, succeda quel che succeda. Ma poi guardava Andrea, il suo ragazzo, ancora il suo bambino, il loro bambino. Lei gli avrebbe detto: «Non t'azzardare a lasciarlo. Il tuo unico compito è proteggerlo!» E, come al solito, aveva ragione lei.

VuEffe (parte 1) - Il sorrisoDove le storie prendono vita. Scoprilo ora