4 - NASCOSTI NEL BUIO (1)

36 7 20
                                    

La famiglia Nani viveva nel palazzo accanto a quello di Veronica.

Come lei, avevano l'appartamento nell'edificio centrale, ma al primo piano. Il loro terrazzo guardava la campagna e ombreggiava, in parte, il giardino privato dell'appartamento sotto il loro. Una rete metallica verde, nascosta da piccoli alberelli, separava la proprietà privata da una strada, scortata ai lati da due marciapiedi, adibito a pista ciclabile quello più vicino al condominio, solo pedonale l'altro. Al di là di questo, solo campi coltivati, fino alla ferrovia, distante circa settecento metri.

Roberto Edicola e suo figlio Andrea si trovavano sul primo camminamento, seduti e appiattiti contro il muretto che sorreggeva la rete, alto all'incirca settanta centimetri. Si erano calati, dal loro terrazzo, nel giardino del loro vicino e avevano scavalcato la recinzione in fretta e furia, con il terrore che l'uomo viola piombasse proprio in quel momento dentro all'appartamento e li vedesse. Fortunatamente non era successo, ma Roberto si era graffiato la coscia con un ramo di uno dei grossi cespugli, piantati dal proprietario per avere un po' di privacy. Adesso erano seduti, ansimanti. Roberto aveva la testa appoggiata al muretto e gli occhi chiusi. Respirava affannosamente. La mano destra poggiava sul piccolo rigonfiamento nella tasca, il mazzo con le chiavi di casa sua e di sua mamma. Dubitava che sarebbero servite, ma, uscendo, l'aveva colto la spiacevole sensazione di non rivedere più quelle pareti e, averle in tasca, gli dava la speranza un giorno di poterci tornare. Aveva poi spostato la mano sul lungo graffio: sanguinava appena, ma bruciava. Con l'altra cingeva le spalle del figlio, che, con la fronte appoggiata sulle ginocchia, piangeva. Nella mente aveva solo l'immagine di sua moglie, inebetita, in piedi a fissare il cielo con quell'espressione tragicamente vacua, pochi metri dietro di lui, al di là dei palazzi.

Lina era voluta a tutti i costi scendere dopo che li avevano avvertiti dell'assemblea improvvisata che si sarebbe svolta nel giardino condominiale. Il campanello aveva interrotto la discussione sull'andarsene o sul restare e lasciato in sospeso la grave decisione da prendere. Andrea, che era salito da poco, aveva deciso di restare in casa e provare ancora a richiamare i nonni e Teo. Roberto invece si era limitato a dirle «Vai tu. Poi mi dici..." Non aveva voglia di affrontare con altri, la discussione che stava avendo con sua moglie. Non che pensasse che lei avesse torto: l'idea di nascondersi in un posto più isolato non era affatto stupida. E raramente Lina diceva cose stupide! Inoltre, doveva andare a prendere sua mamma che, sicuramente, era barricata in casa, sola e terrorizzata, soprattutto dal fatto che non riuscivano a mettersi in contatto tra loro.

No! La realtà era che aveva paura! Aveva paura dell'ignoto! Non sapeva con chi avessero a che fare. Aveva solo visto, disgraziatamente, di cosa era capace. E mettersi per strada, allo scoperto, senza informazioni, senza una meta, lo faceva sentire come si era sentito sempre dal giorno della rapina: nudo e impotente.

Era andato in bagno, poi aveva cercato di richiamare inutilmente sua mamma un paio di volte. Aveva sentito qualcuno parlare a voce alta in giardino, più volte interrotto dalla folla. Si era affacciato alla finestra e aveva visto Giancarlo Benisi, a braccia alzate, cercare di farsi ascoltare.

Si conoscevano da una vita: era stato un grande amico di suo padre ed era un cliente affezionato della sua edicola. Se abitavano in quel condominio lo dovevano a lui. Era una persona intelligente e propositiva; era stato dirigente di una nota azienda del posto, quindi abituato a comandare, cosa che tendeva a fare anche nei condomìni dove aveva sempre abitato e dove sempre aveva fatto il caposcala. Durante le riunioni dava battaglia a tutti quelli che provavano a contrastare le sue proposte, e questo lo rendeva sgradevole ai più. Roberto non l'aveva mai particolarmente amato, ma, nel complesso, lo rispettava.

Scrutando la folla aveva individuato sua moglie: stava parlando con Riccardo e un altro tizio che conosceva di vista. C'era anche Veronica con loro. Quanto era cambiata quella ragazzina! La vedeva di rado e ogni volta sembrava diversa. Aveva capelli meravigliosi, con sfumature mai viste. Lui e Riccardo non si erano mai frequentati; lo conosceva perché veniva spesso a comprare il giornale, e qualche volta, si erano incontrati in garage. Con Veronica il rapporto era ancora più scarno. Avevano avuto un unico contatto, ma Roberto se lo ricordava molto bene. Era stato durante il funerale della mamma della bambina (all'epoca), Erika, che era stata un'amica di Lina in gioventù. Le aveva regalato una fugace carezza sulla testa, ma non appena aveva sfiorato quella meravigliosa chioma, un calore improvviso si era propagato dal palmo in tutto il suo corpo, come quando si tocca un qualcosa di caldo che si credeva freddo, e si ritrae in fretta la mano. Anche la bimba doveva aver sentito qualcosa, perché posò, solo per un attimo, i suoi occhietti gonfi di pianto su di lui, per tornare però subito all'afflizione che stava patendo in quel momento, un dolore troppo grande per una bambina di soli otto anni. Non aveva mai capito cosa fosse successo quel giorno (se qualcosa era successo!), ma da allora cominciò a sentire per quella ragazzina un'empatia particolare, come se la conoscesse da sempre. Provava quasi un affetto paterno per lei. Aveva tentato qualche volta, timidamente, di convincere Andrea a fare amicizia, ma la differenza di età era ancora troppo grande. Per quanto lei stesse crescendo velocemente e decisamente bene, era pur sempre un'undicenne, evidentemente una bambina agli occhi di un sedicenne.

VuEffe (parte 1) - Il sorrisoDove le storie prendono vita. Scoprilo ora