5 - LA FORD TAUNUS (1)

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Dalila teneva per mano Veronica mentre scendevano le scale. L'uomo stava effettuando ancora i suoi macabri controlli, palazzo per palazzo, appartamento per appartamento, ma loro avevano un'andatura quasi da passeggiata. Veronica avrebbe voluto spronare la sua strana compagna, ma visto che non le aveva risposto nemmeno quando le aveva chiesto dove sarebbero andate, rimase in silenzio e si lasciò trascinare. Pregava dentro di sé che lui non le vedesse. Aveva fatto tanta fatica a sfuggirgli che farsi catturare in quel modo le sembrava un'assurdità colossale. Ma non se la sentiva di protestare. Non la conosceva, l'aveva incontrata pochissime volte fuori di casa, ma lei non aveva mai spiccicato parola. La inquietava un po', forse perché sapeva quello che le era successo, ma proprio per questo, provava per lei un'enorme compassione.

Era una donna minuta. Bassa, molto magra, l'esempio incarnato della fragilità, in netta contrapposizione a com'era prima che le venissero strappati via i suoi affetti più cari. Non ne parlava mai, con nessuno, cosa che le riusciva facile visto che non usciva quasi mai di casa. I suoi genitori avevano cercato di supportarla più che potevano, ma riuscivano ad arrivare solo fin dove lei permetteva, e non era molto. Morirono qualche anno dopo, a distanza di qualche mese l'uno dall'altro, più per il dolore che per la malattia. Dalila, che aveva allontanato definitivamente tutti gli amici, rimase sola, a coltivare un dolore che, col tempo, gl'inaridì il cuore e gli spense ogni emozione dal viso. Eppure, se qualcuno avesse osservato attentamente e da vicino quello sguardo, se fosse riuscito a varcare quella soglia di opaca tristezza, coagulatasi in rassegnazione, avrebbe potuto scorgere una tremolante e timida fiammella nei suoi occhi, troppo tenue per illuminare, troppo debole per scaldare, ma comunque accesa. Una piccola luce nella notte poteva salvare chiunque si fosse perso.

Giunsero al piano interrato e, davanti all'ascensore, Dalila si girò, la fissò negli occhi e finalmente parlò. «Dove abita Giancarlo Benisi?» le chiese.

Veronica fu investita da un forte puzzo di sudore e arricciò istintivamente il naso. «Chi?»

«Il vecchio che ha la casa in collina.»

«Ah, ok. Nel palazzo di fondo. Papà mi ha raccontato tempo fa che a una riunione, lui e Max...»

«In quale edificio e in quale piano?» la interruppe bruscamente Dalila.

Pronunciare il nome di suo padre, fece male a Veronica che abbassò lo sguardo, mentre due calde lacrime le stavano scendendo dagli occhi.

Dalila la afferrò per le spalle e la scrollò. «Non c'è tempo per piangere! In quale edificio e in quale piano?» ripeté.

«All'ultimo piano di quello centrale, credo.» Pronunciò Veronica, alzando gli occhi tristi e guardandola, incredula e spaventata.

Le riafferrò la mano e con l'altra spalancò la porta che dava accesso ai garage: un lungo corsello buio le accolse. Pigiò l'interruttore sul muro e una serie di lampade led si accesero all'istante, illuminandolo a giorno. Ancora una volta Veronica voleva protestare sull'avventatezza del gesto; la luce poteva attirare l'uomo, ma scelse ancora di tacere. Quella donna era strana, parlava poco, aveva due occhiaie di un viola profondo che le circondavano quasi per intero gli occhi, sintomo che dormiva poco o niente, girava scalza, puzzava... ma sembrava sapere il fatto suo.

Voltarono a sinistra e si diressero verso la porta di fondo, da dove potevano accedere all'ultimo palazzo, dalla parte opposta rispetto alla rampa d'uscita. La serranda di un garage alla loro destra si sollevò all'improvviso, tanto che a Veronica scappò un urletto. Dalila non batté ciglio e si girò a scrutare l'uomo che le guardava. Veronica lo conosceva: era un professore che insegnava nella sua scuola media, a cui non aveva mai rivolto la parola. Aveva la faccia stravolta e tremava leggermente.

VuEffe (parte 1) - Il sorrisoWhere stories live. Discover now