07. Devil doesn't sleep

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Travis' POV

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Travis' POV.

😈

Il cellulare vibrò senza sosta.

Ancora.
E ancora.
Non accennava a darmi tregua.

Non riuscivo a concentrarmi sul mio lavoro al computer, di colpo la schermata di codici informatici mi parve un cumulo di cose senza senso.

Spostai lo sguardo su quell'aggeggio vibrante e lo fissai in cagnesco: lo schermo illuminato da una chiamata in arrivo; un nome ben visibile a caratteri cubitali.

Con gli occhi stavo divorando il tasto rosso con la speranza di assumere all'improvviso poteri telecinetici e fare in modo che smettesse di disturbarmi.

Ma non lo fece. A dirla tutta, diventava sempre più insistente.

Così presi un respiro profondo e mi decisi a rispondere una volta per tutte. «Ti ho detto di non chiamarmi, Esther.»

La sua voce in risposta fu un farfuglio agitato, tre semplici parole condite da ansia. Doveva essere importante. «Lo so. Scusa.»

«Che c'è?», fui rude e poco amichevole. Non che m'importasse di come potesse rimanerci, ero stato ben chiaro sul non voler essere cercato.

Ma per qualche strana ragione, sembrava avere sempre qualcosa di urgente da dirmi.
O forse si preoccupava soltanto per me, il che non era contemplato.
Non aveva nessuna ragione per farlo.

«Senti, io... probabilmente non avrei dovuto chiamarti, però è successa una cosa strana. Nel senso che io penso sia strana e di solito non mi sbaglio. Sai come funziona il sesto senso, no? Quando-»

«Va' dritta al punto. Non ho tempo da perdere.»

Si zittì per un millisecondo e incassò la mia risposta seccata. Fece finta di niente. Poi udii un sospiro pesante in sottofondo. Delle voci. Della musica. «Ginger.»

«Ginger cosa?»

«Siamo alla stessa festa. In un locale in periferia.»

«Jake è con voi?» domandai, scaricandogli così ogni responsabilità. Probabilmente l'urgenza era un po' di alcol, e quello potevano gestirlo da soli.

«Sì, c'è anche lui.»

Mi misi più comodo sullo schienale della sedia da gaming, passandomi la lingua fra i denti più volte, puntellando così l'arcata superiore.

Sapevo che fosse uscita dall'Arcade da poco, ma non me la sentivo di definire strano il suo partecipare a una festa. Né tantomeno bere, per quanto non mi piacesse come idea.

Aveva sempre avuto il suo modo di metabolizzare il dolore, di non pensare a ciò che le faceva male.
Non me la sentivo di giudicarla.
Non ne avevo alcun diritto, non più.

OFFLINE VOL. 3Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora