10. Goodbyes never taste sweet

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Ginger's POV

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Ginger's POV.

Mi sentivo osservata.

Non perché avessi alzato di proposito il cappuccio nero della felpa per nascondere la chioma rosacea, o perché sembrassi una scapestrata senza un soldo in tasca.

No. Non erano sguardi di quel tipo. Erano occhiate di sbieco, infestanti col loro giudizio silenzioso. Adunavano curiosità e invidia, e al tempo stesso inganno e lussuria.

Le notti in città erano così: un museo circostanziale di personaggi strani, commenti indecenti e infiniti slalom fra un pericolo e l'altro. Era come mettersi in viaggio su una strada ricolma di buche. Non sapevi mai chi avresti potuto incontrare.

Era stata una scelta intelligente, tuttavia, quella di non prendere mezzi pubblici. Avevo parcheggiato poco distante dal Berries Bur, quindi il tragitto a piedi era composto da una ventina di metri o poco più —  abbastanza per assorbire come una spugna l'aura fastidiosa di quegli sconosciuti.

Avevo avuto paura sul serio, pur camminando a testa bassa e con passo veloce. Entrata nel locale, nessuno prestò attenzione a me.
Grazie al cielo.

Erano tutti troppo indaffarati a bere e chiacchierare, o a masticare bestemmie dopo qualche tiro sbagliato a biliardo.

La puzza di tabacco mi arrivò prepotente alle narici in una scia nauseabonda, mista all'odore pungente di alcolici fin troppo forti per una come me.

Adocchiai un tavolo all'angolo e mi ci fiondai, con la speranza di non esser vista, e di continuare a sembrare un puntino insignificante fra quel fottio di persone notturne.

Mi persi nel frastuono di chiacchiericci confusi e stecche da biliardo che centravano i gruppi di palle. Rimasi seduta ad osservare, e a tenere sott'occhio l'entrata nella speranza che Travis facesse la sua entrata ad effetto.

Nell'alzare lo sguardo, notai un cameriere poggiarmi sul tavolo un bicchiere di vetro alto, contenente un liquido color rosa pesca.
I cubetti di ghiaccio galleggiavano sul fondo.

Che diavolo?

«Shirley Temple», snocciolò scocciato, col tono burbero tipico di chi avrebbe voluto essere ovunque tranne che lì. Si era accorto, probabilmente, della mia confusione in merito a quel cocktail.

«Non ho ordinato niente», feci io, declinando gentilmente la bevanda.

Lui gonfiò le guance in uno sbuffo infastidito. «Te l'ha offerto quel tipo laggiù, se non lo vuoi non lo bere, poco m'importa», commentò, voltandomi le spalle per andarsene prima che potessi farmi sfuggire un'altra sillaba.

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