XXVII - Mercoledì

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Adriel

«E poi l'ho baciata»

«Sei un po' nella merda, Adriel, fattelo dire»

Henry mi insultava da quaranta minuti buoni, mentre mi dava le spalle e restava accucciato verso la sua gatta, stesa su un cumulo di cuscini e vecchie coperte dello studio.

«Cos'avrei dovuto fare, sennò?» sbottai, aprendo le braccia e afferrando la tazza di Grifondoro in cui Henry mi aveva versato del caffè caldo. Ne feci un lungo sorso che mi scaldò completamente l'esofago.

«Non puoi andartene in giro e baciare la gente perché è la prima cosa che ti viene in mente» sbuffò e si alzò, asciugandosi il sudore e alzandosi le maniche della camicia, poi mi fissò, «tu vuoi dirmi che sei pronto ad assumerti le responsabilità di un'ipotetica relazione? Che ti senti ti poter rispondere alle domande che sicuramente affolleranno il cervello di quella ragazza dopo un tuo bacio improvviso? Ragiona, Adriel. Lo devi anche a te stesso»

La persiana miagolò ed Henry tornò su di lei; ne fui contento perché non sarei mai riuscito a sostenere il suo sguardo. Aveva fottutamente ragione ed io lo sapevo. Ma non riuscivo mica ad accettarlo.

L'ho baciata perché lo volevo, ma non volevo tutto il resto dopo. L'ho baciata perchè quelle labbra me le sognavo pure la notte, ma non sapevo come potermi prendere cura di una persona se non sapevo prendermi cura neanche di me stesso.

«È ironico, no?» forzai un sorriso amaro.

Henry mi guardò da sopra una spalla, nonostante Bonnie stesse partorendo proprio durante il mio colloquio con lui.

«Che cosa è ironico?»

«Se solo non avessi avuto una famiglia come la mia... se solo avessi avuto una vita nella norma» non continuai quella frase perché aveva capito. E avevo capito io. Erano parole brutte, ma lo pensavo giorno e notte e mi chiedevo del perché fosse successo a me, del perché proprio io e non un altro, o perché io fossi io e fossi nato nel corpo di un bambino nato sotto una cattiva stella. Non me lo sarei mai spiegato. Sembrava avessi delle colpe da una vita precedente, che ora dovevo ripagare in qualche modo, o il Destino mi avrebbe dato la caccia.

Henry sospirò e mi si avvicinò, sedendosi di fronte a me, sul tavolino davanti al divano. Incrociò le mani e mi guardò dai piccoli occhiali rotondi.

«Non puoi vivere la tua vita pensando a come sarebbe potuta essere. Devi imparare a sfruttare e situazioni che la vita ti ha riservato. Soffrire è normale, significa che stai crescendo.
Non puoi e non devi assumerti le colpe di chi non ha saputo
prendersi la responsabilità di aver distrutto il bambino che eri.
Perdonati, Adriel. E accetta di guarire»

Guarire.

Era una cosa che mi dicevano sempre, ma come? E perché?

La risposta non l'avevo mai avuta. Non avevo più nulla da perdere dopo i miei genitori e la vita che mi avevano distrutto. Non avevo un motivo per combattere, qualcosa che mi facesse aprire gli occhi al mattino e che mi desse la forza di alzarmi e non cadere.

Mai avuto qualcosa da desiderare, qualcosa per cui lottare fino a perdere il fiato. Non avevo mai avuto un motivo per iniziare a prendere le medicine che Henry mi prescriveva da una vita. Ero in mano a lui da anni e mi ero fermato ad uno stato di apatia perenne. Avevo fatto dei passi avanti, negli anni, ma ora ero fermo allo stesso punto. Un punto da cui sarei potuto uscire solo con lo step successivo.

CUPID IS A LIAR [paused]Where stories live. Discover now