XVIII - 31 ottobre 2006

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Luce

Se fosse stato malato, avrei saputo cosa fare.
Se fosse stato punto da un'ape, pure.
Avrei saputo cosa fare perfino se avesse avuto una frattura scomposta al costato.

Ma con un Adriel ubriaco, non avrei mai saputo come comportarmi.

Ero uscita in corridoio, chiudendomi la porta alle spalle, nel pieno della notte e con un costume da angelo appiccicato negli angoli più indicibili, mentre un ragazzo travestito da diavolo mi si buttava addosso, incapace di reggersi in piedi, mentre biascicava frasi scomposte e mi supplicava di non lasciarlo solo.

Non ti lascio solo, avrei voluto dirgli, ma ero occupata a riempirlo di insulti con i denti stretti, mentre lo trascinavo nella sua camera. Mi aveva detto che Archie ed Ettore non erano tornati, quindi era libera. Non avrei osato pensare a cosa avrebbe detto o fatto Ettore, vedendomi con lui in quelle condizioni.

«Lo sai che profumi di mare?»

«Con quel che costano i profumi di Yves Saint Lauren, credo che sia il minimo»

«Parli troppo» borbottò, lamentandosi, con le labbra premute sopra la mia spalla. Sbuffai, mentre tentavo di tenergli la schiena con il braccio.

«E tu non parli affatto!»

«Parlo, Scintilla. Te lo giuro che parlo, dammi tempo, poi parlo»

Lo disse con il tono petulante da bambino e il mio cuore non seppe dirgli di no in alcun modo. Così non continuai il nostro battibecco e mi lasciai andare ad un gridolino felice quando intravidi la sua camera nel corridoio dei ragazzi universitari. Ma forse il mio gridolino fu troppo eccitato, perché Adriel perse l'equilibrio e cadde con la faccia sul pavimento e le braccia scomposte.

«Ahia»

«Dio, se mi avessi fulminata, lo avrei preferito»

Lo aiutai a rialzarsi, provando a tirarlo per un braccio, ma era alto il doppio di me e non collaborava affatto. Anzi, aveva cominciato a sonnecchiare sul parquet! La scena di Dakota, di poco prima, mi tornò in mente.

Pensai alla me di qualche mese fa, sola nel suo letto a baldacchino ricoperto da lenzuola di seta che osservava il mare dall'enorme finestra che dava sulla Cala Rossa, intenta a mangiare la cena rigorosamente portata in camera su un vassoio d'argento dai manici intagliati, mentre finiva l'ultimo capitolo di Cime Tempestose con i patch per contorno occhi comprati da Primark. Mentre ora mi trovavo oltreoceano, con un maiale permaloso di nome Petunia, il mio gemello travestito da apicoltore, due compagne di stanza stronze e un ragazzo piccato e privo di senso del rischio, ubriaco, che sbavava sul pavimento.

E risi.

Inspiegabilmente, le mie labbra si piegarono verso l'alto, dalla mia gola uscì aria fresca che attraversò le corde vocali in un melodioso e genuino 'Ah, ah, ah'.
E poi ancora, la mia risata aumentò fin quando non fui costretta a socchiudere gli occhi e a tenermi lo stomaco. Ripresi fiato piano, con l'ombra di un sorriso ancora sul volto, mentre piegavo le ginocchia e mi sedevo sul pavimento. Senza neanche spolverarlo prima! Mi meravigliai di me stessa, quando la mia mente non si soffermò sulla quantità di batteri e immondizia che poteva risiedere negli angoli del corridoio.

Adriel, che nel frattempo aveva schiacciato un pisolino di circa quarantasei secondi, si stava lentamente alzando con il busto e mi guardava di sbieco, con gli occhi semichiusi e il volto stropicciato dal sonno e dalla sbornia.

«Anche gli italiani hanno sentimenti» farfugliò, incespicando nelle sue stesse parole.
Trattenni un sorriso, «Solo quando vogliono».

Tentai ancora di trascinarlo dentro la sua stanza, ma non si reggeva in piedi. Si alzava e poi cadeva l'attimo dopo. Aveva le ginocchia molli e andava a sbattere prima contro la porta e poi contro il comodino di Archie.
Ma dopo un buon quarto d'ora e sicuramente qualche livido qua e là, ero riuscita a farlo piombare sul suo letto. Sfinita, mi scostai i capelli dietro le orecchie e mi sedetti sul bordo del letto di Ettore, cercando di riprendere fiato.

CUPID IS A LIAR [paused]Where stories live. Discover now