I - Texas

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Luce

«Le recensioni dicono che ha molti spazi ampi. Forse praticano molti sport da queste parti»

Miranda era da un'ora a leggere le recensioni del collegio su internet. Il suo cappello di paglia gigante riempiva tutto lo spazio della limousine.

Io mi limitavo a guardare fuori dal finestrino i grandi campi che caratterizzavano quello strano paese. Avevamo studiato tutti sempre in casa nostra. Avevamo avuto insegnanti privati fin dalla scuola materna. Gli unici che erano usciti fuori erano Ettore e Miranda, per via dell'università. Ma io e Diego dovevamo ancora concludere l'ultimo anno di liceo e Giulio finire le elementari.

Il mio stomaco faceva su e giù assieme ai buchi della strada dissestata.

«Non vedo centri commerciali da queste parti» mugolai.
Nello stesso istante, una mucca issò un muggito che mi fece sobbalzare sul posto. Diego alzò un sopracciglio ed Ettore si coprì gli occhi con una mano.

«Non. Dite. Una. Parola» ringhiai, chiudendo gli occhi e appoggiandomi al finestrino con la fronte, per provare almeno a dormire.

Ma il mio sonno ristoratore durò poco.
«Siamo arrivati, signori De Angelis»

«Siete sicuro?» Ettore si affacciò dal finestrino.
Giulio dormiva e si svegliò per la confusione. Si stropicciò il volto e guardò fuori anche lui.

«Ma non vedo il collegio» borbottò.

«C'è solo una fattoria e qualche... mucca» blaterai, quasi disgustata dall'odore nauseabondo. Mi tappai il naso con due dita.

«Signori, credo che... credo che quello sia il collegio» balbettò l'autista.

Mi mancò il fiato. Una fattoria rossa di stagliava di fronte a noi. Uno steccato bianco la precedeva e torreggiava un cartello in legno, rovinato dalla pioggia e dal tempo con su scritto Lone Star College.

Sulla punta della fattoria, un gallo strepitò e poi zampettò sul tetto rosso fino a scendere su alcune balle di fieno accanto alla struttura. Dei pulcini puntellavano il terreno e alcuni gatti prendevano il sole sulla paglia.

«Ditemi che è uno scherzo» ringhiò Diego.

Poi sentimmo il trillo di un campanella. E una branca di ragazzi di ogni età uscì da quella struttura in legno quasi decrepita, dirigendosi a passo svelto verso un'altra struttura, distante appena pochi metri, che si ereggeva a forma di triangolo scaleno, steccata di bianco e grigio e anticipata da un vialetto di ghiaia grigia.

Mi sentii gli occhi addosso di chiunque. Chiacchieravano tra di loro, indicandoci. Qualcuno rideva sguaiato. Ed erano vestiti in maniere indicibili: capelli da cowboy, stivali in camoscio color cachi, camicie a quadri e canottiere sgualcite.
La mia faccia si aprì in una smorfia terrorizzata.

«Io non scendo» decretai, alzando il finestrino.

«Ve lo scordate» quasi urlò Miranda.

«Signori, penso che non sia possibile ormai» il conducente quasi sudava nel dirci quelle parole. Forse perché, effettivamente, in quel momento avremmo licenziato anche lui.

«Io me ne torno in Sicilia» strillò Giulio, puntando i piedi per terra.

«Non possiamo» sbottò Ettore. Ma lo sguardo terrorizzato aveva preso anche lui. Aprì la portiera e un odore nauseabondo di escrementi animali riempì l'abitacolo.

«Chiudi! Subito! Ce ne torniamo a casa» strepitai, cercando di allungarmi verso di lui, ma la limousine era troppo grande.

Ettore mi prese per il polso e mi tirò verso di lui, ringhiandomi ad un centimetro dal viso.

CUPID IS A LIAR [paused]Where stories live. Discover now